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The Nude Party
Midnight Manor
[New West 2020]

Sulla rete: thenudepartymusic.com

File Under: garage boys


di Fabio Cerbone (01/11/2020)

L’irriverenza della gioventù dalla loro parte, unita all’ironia dissacrante del migliore rock’n’roll che non si prende troppo sul serio, eppure crede con ostinazione nell’obiettivo, The Nude Party si confermano una ventata di aria fresca tra le nuove leve che pescano nel passato rock. Retromaniaci ma con gusto e intelligenza tali da non schiacciarli in un angolo fatto di mera nostalgia, i sei ragazzi terribili del North Carolina, band nata dalle frequentazioni al college, torna a due anni di distanza del debutto omonimo in casa New West con un secondo tempo che nel medesimo istante serra le fila e allarga le ambizioni del gruppo.

La produzione è ancora nelle mani di Oakley Munson dei Black Lips, spirito affine che può comprendere appieno l’anima dei Nude Party, una comune di musicisti riunita negli studi casalinghi fra le Catskill Mountains alle prese con un garage rock esuberante, che “pasticcia” con la tradizione southern e country, il pop dei sixties e le scie glam del decennio successivo, mettendo insieme il beat inglese degli Stones e dei Kinks con la scorza punk di Lou Reed e Iggy Pop. Midnight Manor è disco rodato sulla strada e si sente dal piglio più sfacciato della band, occupata a farsi trascinare dal piano saltellante che introduce la scarica garagista di Lonely Heather per approdare alla scanzonata e alcolica Pardon Me, Satan. Due anni in tour, il palco condiviso con Ron Gallo, Jack White e Artic Monkeys, gente che ha subito sposato la filosofia dei Nude Party dichiarandosi loro fan, Patton Magee (principale voce) e soci (su tutti spiccano le chitarre speziate di Shaun Couture e soprattutto il piano barrelhouse di Don Merril) girano come trottole fra le loro storie di scapestrati alle prese con lo spietato sogno (o forse meglio dire illusione?) del rock’n’roll, che prevede frustrazioni, cadute e una testa dura come il muro per andare avanti.

Di questo ed altro (anche un rapporto abbastanza disinibito con gli eccessi) parla Midnight Manor, un album spassoso come deve essere questo tipo di approccio alla materia rock: il cortocircuito fra Stones e glam di Easier Said that Done, l’irresistibile cadenza brit pop e i riverberi di Shine Your Light, prima che compaia anche una pedal steel (il membro aggiunto Jon Catfish Delorme) in What’s the Deal? e trascini il gruppo dalle parti dei Velvet di Loaded. Cities è un’altra riuscitissima pantomima tra garage e glam rock che potrebbe riempire una pista, quando si potrà tornare a ballare sul serio, mentre Thirsty Drinking Blues e Judith mettono una spunta sulle tendenze “passatiste” della formazione e aggiornano l’amore incondizionato per i sixties più fracassoni, in attesa che la nostalgica ballata (qui sì, i Nude Party cedono ai ricordi) Things Fall Apart lanci il suo dolce lamento guancia a giancia.

Il commiato invece non poteva che essere canzonatorio, con la bislacca rappresentazione a tempo di marcetta country di Nashville Record Co., quel piano onnipresente e persino un solo di kazoo, per parlare dei “dolori” di un musicista alle prese con le regole dell’ (in)successo e i trucchetti dell’industria discografica: è nata da un discussione in cucina tra Patton Magee e sua madre e tanto basta a renderci ancora più simpatici The Nude Party. Quando torneremo a far festa, saranno il primo gruppo da contattare.


    



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