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Jeremy Ivey & The Extraterrestrials
Waiting Out the Storm
[Anti records 2020]

Sulla rete: jeremyivey.net

File Under: driving folk rock

di Fabio Cerbone (01/11/2020)

Dalla Georgia a Nashville con una valigia di canzoni e una chitarra chiusa a forza nella custodia, la storia di Jeremy Ivey è un copione già scritto e letto all’infinito, eppure il solo che possa ancora nutrire l’american music che guarda alla strada e alla tradizione (rinnovata). La fortuna, oltre a un songwriting che è tutto merito suo, è stata quella di incontrare lungo il percorso la stella di Margo Price, poi compagna anche nella vita, formando un team artistico che si è reciprocamente scambiato intuizioni e idee, sebbene ciascuno con una personalità ben distinta: lui chitarrista e spalla ideale nei dischi di Margo, lei produttrice dei primi tentativi solisti di Jeremy. A poco più di un anno di distanza dal vero e proprio esordio, quel The Dream and the Dreamer che lo imponeva come una nuova interessante voce dell’Americana dalle tinte noir, Waiting Out the Storm aggiunge dieci capitoli al viaggio, raddoppiando se possibile la posta in gioco.

Frutto di un lavoro più espressivo insieme alla band, battezzati con una punta di ironia The Extraterrestrials, l’album sposta il baricentro dall’autore alle chitarre, alza un poco il volume e prova a far collidere le fondamenta folk rock e gli accenti country cosmici di Ivey con un tono più ”scontroso” e robusto. Il cambio di passo è evidente e introduce un’energia spavalda nelle canzoni di Jeremy, il quale mantiene quella voce indolente e quella generale propensione per le implicazioni pop psichedeliche che già emerge con chiarezza dall’incipit di Tomorrow People (un messaggio di scuse e di rinnovata speranza per chi popolerà il mondo nel futuro). È il carattere “politico” dei nuovi brani a vivacizzarli: scritto e pensato più di un anno fa, completato durante il tour con Margo e poi messo in un cassetto dalla forza degli eventi (il tornado che ha investito Nashville e poi l’arrivo implacabile della pandemia), Waiting Out the Storm ha assunto, volente o nolente, un significato attuale, nonostante le sue domande e la sua visione siano universali.

Ivey si interroga sulla nosta capacità, come società di esseri umani, di farci compassionevoli l’uno nei confronti dell’altro, a partire dal singolo scelto, la serpeggiante e scura Someone’s Else Problem. Tutto il resto ne consegue, con canzoni brillanti e pungenti a livello elettrico, che osservano il mondo in disgrazia e cercano connessioni fra le persone per restare in piedi. Jeremy Ivey sceglie di gonfiare il sound e lo spirito rock’n’roll, mettendo insieme il Bob Dylan della Rolling Thunder Revue con le scie del Paisley Underground: chitarre e organo che rotolano in Paradise Alley, una nostalgica Movies che fluttua tra cori e riverberi sixties, mentre l’agitato caracollare di Hands Down in Your Pockets e la polvere desert rock che si solleva da White Shadow e dal tremore punk stradaiolo di Loser Town sembrano sbucare dalla stessa sensibilità dello Steve Wynn solista (o dei Dream Syndicate maturi di Medicine Show, fate voi), così come del dispettoso fuorilegge Dan Stuart al fianco dei Green on Red.

Chitarra slide e un po’ di vaporoso e divertente scherno attraversa invece Things Could get Much Worse, spiritoso video ad accompagnarne il senso (Ivey è stato concretamente affetto da Covid e in serie condizioni di salute per diversi mesi), nel brano più leggero della raccolta, altrove rivolta semmai al piacere sempre rinnovato di una ballata roots elettrica (What’s The Matter Esther, la fiammante How It Has to Be) che insegue una luce fuori dall’oscurità, come Jeremy stesso sembra indicarci.


    


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