Paul Burch & The WPA Ballclub
Light Sensitive

[Plowboy Records 2020]

paulburch.com

File Under: Cinema naturale

di Gianfranco Callieri (18/04/2020)

Il grande demone celeste, o chi per lui, benedica autori come Paul Burch, cittadino della «music-city» conosciuta col nome di Nashville e residente nei suoi quartieri meno superficiali e scontati, otto dischi alle spalle, una lunga, lunghissima sequela di collaborazioni con artisti dall’estrazione più disparata, e ciò nonostante ancora in possesso dell’ironia, dell’umoristico disincanto e della voglia di cimentarsi in brani quali The Tell, cronaca semiseria in formato pop-rock (Aron Lee Tasjan alle armonie vocali), ma di un pop’n’roll essenziale e rockeggiante, contraddistinto dalla stessa timidezza nostalgica appartenuta alle canzoni di Jonathan Richman o Ben Vaughn, di un suo sogno riguardante Karen Allen ai tempi dei Predatori Dell’Arca Perduta (Raiders Of The Lost Ark, 1981) di Steven Spielberg, sogno nel quale il nostro rischiava di essere picchiato dalla medesima anche se, lo sappiamo, sentimenti e intimidazioni, nell’attività onirica, spesso si confondono e degli occhi sgranati, del sorriso smisurato e degli zigomi perfetti dell’attrice, allora, ci eravamo innamorati un po’ tutti.

Dio, o chi per lui, benedica musicisti come Paul Burch, depositari di una conoscenza enciclopedica, sufficiente a consentirgli di mettere in piedi omaggi per nulla scontati a Buddy Holly o Jimmie Rodgers, eppure capaci di trasmetterla, senza pedanterie o lezioni didascaliche, in opere baciate dalla quotidianità del fare, dall’estremo contegno di un’erudizione mai esibita, non escluso il qui presente, bellissimo Light Sensitive, dove saltare tra il ricordo di Jean Garrigue, poetessa dell’Indiana celebrata in una canzone recante le sue generalità e lo spirito sonoro di una ballata anni ’50 sullo sfondo di una New Orleans tutta trombe e spazzole jazz, e lo swing countreggiante di una Prince Ali’s Fortune Telling Book Of Dreams — capsula spazio-temporale ammantata dall’eleganza di Leon Redbone e dai cori di Amy Rigby — sembra la cosa più semplice e naturale del mondo.

Allah, o chi per lui, benedica appassionati come Paul Burch e la loro tendenza a sviluppare un legame affettivo con gli strumenti e le loro storie, qui in Light Sensitive una Harmony Hollywood dei tardi ’50, dalla tavola armonica curvata (regalo di Bobby Hebb, il compositore della celeberrima Sunny), il cui costante utilizzo regala all’intero disco una patina country, alla Chet Atkins, non gratuita né meramente passatista, ma al contrario ricca di dettagli, sfumature, evocazioni e spontaneità d’altri tempi, molte di esse riassunte nel dolente, irresistibile passo tra folk-rock e psichedelia di Flight To Spain (sulle disavventure di un viaggiatore intrappolato in aeroporto, addirittura con Robyn Hitchcock a occuparsi di dar voce agli annunci aeroportuali) o nelle seppiature country-blues di una Fool About Me senza nulla da invidiare, grazie anche alla maestria della slide di Luther Dickinson, alle pregiate ricostruzioni d’epoca di Pokey LaFarge o Luke Winslow-King.

Odino, o chi per lui, benedica quanti, come Paul Burch, continuino a concepire dischi nella convenzionalità del fraseggio sintattico che abbiamo sempre conosciuto, e quindi, sì, con il r’n’r «desertico» e a tratti morriconiano di una Love Came Back (stupenda), inventandosi zingarate alla Dr. John (Mardi Gras In Mobile) o nel tono chiesastico e gospel della strumentale Glider, ma non dimenticandosi, al tempo stesso, di chiedere alla propria scrittura qualcosa in più, in questo caso una scansione di originalità sfociata nel capolavoro Marisol, clamorosa serenata in stile Calexico con la viola di Fats Kaplin (sua anche la steel hawaiiana di altri episodi dell’album) a ricordarci di quando Burch, nei panni del percussionista, contribuiva all’introverso neo-classicismo post-country dei Lambchop (dei quali ha fatto parte dal 1998 al 2005).

Tutte queste misericordiose divinità, insomma, benedicano Paul Burch per la capacità di rimanere fedele a se stesso e alle proprie radici attraverso dischi come Light Sensitive, opere semplicemente così belle e ricche di umanità da configurarsi quali àncore di salvezza in un presente attraversato da pensieri cupi: e di questi tempi, di album simili, ne abbiamo — noi poveri terrestri — un bisogno che il grande demone celeste, Dio, Allah e Odino messi insieme neanche s’immaginano.


    


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