Kinky Friedman
Resurrection

[Echo Hill Records 2019]

kinkyfriedman.com

File Under: Kinkster country-soul

di Gianfranco Callieri (11/11/2019)

Nonostante il titolo e nonostante un’allergia agli studi di registrazione entrata in fase di remissione, a quanto pare, solo in tempi recenti, il nuovo album di canzoni inedite (neanche il decimo in mezzo secolo di attività) consegnato alle stampe da Richard Samet Friedman, meglio noto come Kinky Friedman, non rappresenta una vera e propria resurrezione. Semmai un confortante segnale di continuità da parte di un autore di canzoni, nonché romanziere, giornalista, politico di fede repubblicana, poi passato nelle fila degli indipendenti e oggi sotto l’ala dei democratici (mescolate le suddette occupazioni secondo il vostro gusto), in passato non proprio regolare nel condividere col resto del mondo i frutti, sempre arguti, sarcastici e irriverenti, della sua scrittura tutt’altro che prevedibile.

Tre dischi in quattro anni (tanti ne ha realizzati il nostro dal 2015 di The Loneliest Man I Ever Met) rappresentano infatti per il "Kinkster", in termini di prolificità, una specie di primato, ma non preoccupatevi per eventuali cali d’ispirazione o flessioni creative, perché Resurrection potrebbe addirittura essere il capitolo migliore della trilogia. Parte del merito, è chiaro, va ascritta alle doti di Larry Campbell, qui impegnato sia in veste di produttore sia nei panni del musicista, e in entrambe le configurazioni assolutamente efficace nel conferire risalto, tono, dinamiche, pulizia e brillantezza al ruvido countreggiare di undici composizioni nuove dove il genere, lontanissimo dai luoghi comuni e dalle patinature estetizzanti delle sue versioni più artificiose (del resto, il Kinkster ha sempre prediletto la compagnia di John Belushi o Iggy Pop a quella di certi cowboy con microfono di poca sostanza), si riconnette come se quarant’anni non fossero passati al gesto «da fuorilegge», in contemporanea rurale e provocatorio, dei vari Kris Kristofferson o Billy Joe Shaver.

Tuttavia, un’altra fetta di riconoscimenti - quella principale - va attribuita alla forma strepitosa di Kinky, alla fatica e all’intelligenza della sua ironia ogni volta predisposta a non sprecare (mai!) una buona battuta, eppure in ogni caso segnata da una piega amara sul volto, come se le verità umane, peraltro trattate in tono decisamente antiretorico, non potessero in fondo prescindere da un filo di malinconia. Così, ecco scorrere, in sequenza, un’evocazione agrodolce degli anni di prigionia di Nelson Mandela nel carcere sudafricano di Robben Island (Mandela’s Blues), brani d’amore sui generis (I Love You When It Rains), dissertazioni sul proprio ego innaffiate da scrosci di umorismo (Resurrection, con la seconda voce dell’amico Willie Nelson), panoramiche country-rock sulla scia dei Flying Burrito Brothers (Greater Cincinnati, bellissima), nostalgiche rievocazioni di colleghi da tempo inattivi (Me & Billy Swan, dedicata all’omonimo ex-bassista di Kristofferson) e addirittura un qualche divertissement di stampo messicano (Ai! Mariachi!, al solito spassosa).

Le sonorità, in bilico tra ballate agresti e spediti honky-tonk, con una vena country terragna, spigolosa e anticonformista, sono quelle che abbiamo imparato a conoscere nelle sue opere precedenti, stavolta, però, confezionate con un senso dell’equilibrio e una lucidità esecutiva come non si riscontravano (non è un’esagerazione) dalle stagioni mitiche di Lasso From El Paso (1976). La bravura di Friedman nell’alternare il valzer antico e sentito di Carryin’ The Torch alla caciara country-blues della stralunata Blind Kinky Friedman, in una perenne oscillazione dei toni utile a non prendersi troppo sul serio, dovrebbe essere fuori discussione. Il fatto che in Resurrection le sue vignette ricordino spesso, nelle liriche e nello stile, quelle di John Prine, è solo uno dei numerosi motivi per fare i conti, ancora una volta, col lavoro di questo settantaquattrenne nato a Chicago ma presto adottato dal Texas (sul quale potrebbe redigere un’enciclopedia), malgrado le primavere molto più fresco e vivace di tanti, presunti giovanotti di belle speranze.


    


<Credits>