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roots gospel revue di
Fabio Cerbone (02/05/2018)
Cita
il drammaturgo Tennessee Williams il nostro Phil Cook, alla ricerca di
amore e compassione di fronte alle ingiustizie del mondo. La gente è la sua droga,
People Are My Drug nel titolo del secondo lavoro solista: lo afferma
candidamente e altrettanto lo riversa nella sua musica, nove brani fra originali
e curiose interpretazioni altrui che riverberano una luce positiva, un mood sudista
rilassato e informale dove gospel, folk, roots music dalle vibrazioni elettriche
e sapori speziati di New Orleans raggiungono un linguaggio comune. Da anni l'altra
metà del progetto Megafaun (il fratello Brad Cook è infatti coinvolto oggi come
produttore), ma soprattutto musicista (piano, chitarra, dobro, banjo e altro ancora)
dalle mille collaborazioni, Phil ha partecipato attivamente ad alcune delle proposte
più interessanti del nuovo suono tradizionalista americano di queste stagioni:
la sua presenza nei dischi di Hiss Golden Messenger, Frazey Ford, Matthew E White,
fino alla recente scoperta di HC McEntire, è la riprova di questa versatilità,
un sincero attaccamento alle radici e alla loro interpretazione personale.
Poi
sono arrivati anche i concerti e i contributi al fianco di Blind Boys of Alabama,
Mavis Staples, John Prine, come a dire che un cerchio si è completato, arrivando
fino alle fonti. Tutto ciò ha contagiato la stesura di People Are My Drug, un
disco semplice e diretto, un laid back caloroso che trasmette il clima schietto
delle incisioni di studio, soltanto dieci giorni con la band (quartetto completato
con JT Bates alla batteria, Michael Libramento al basso e James Wallace al piano)
tra il Wisconsin e il North Carolina (Phil vive da qualche anno a Durham), scegliendo
alcune cover illuminanti e al tempo stesso incorporandole nel songwriting di Cook.
Il quale apparirà di una genuinità quasi disarmante in Streampowered
Blues, chitarra pigra e blueseggiante, bollenti spiriti gospel e il
ricorrersi della sua voce con quella di Tamisha Waden, non una presenza
qualunque, ma una pedina essenziale del sound.
L'album sceglie questa
sceneggiatura e non se ne distacca lungo l'intero viaggio, breve, spontaneo, una
lettera d'amore, dice Phil Cook, spedita alla gente. Ingenuo? Può darsi, ma dimostra
di avere appreso la verità senza tempo della migliore american music, quando
affronta il repertorio dei Blind Boys of Alabama rivedendo il gospel Tide
of Life, oppure non si intimidisce di fronte al Randy Newman di He
Gives Us All His Love (classico tratto da Sail Away) e chiude sulle
note dei fiati e lo scintillio da Big Easy di Life,
brano firmato dalla leggenda cittadina Allen Touissant. A completare i brani non
originali arrivano l'oscura Now That I Know, appartenuta al personaggio
di culto Ted Lucas, musicista di Detroit che lasciò un solo album ufficiale alla
metà dei settanta, e qui rivisto in una corrusca veste roots con fiddle e banjo
nell'amalgama, e ancora le tenue Tupelo Child, che non solo nel titolo
rimanda al Van Morrison più bucolico.
Il tono del materiale autografo,
come anticipato, è un tutt'uno con il resto: Cook si fa affiancare da Amelia Meath
nella carezza soul di Miles Away, firma con Kane Smego la successiva Another
Mother's Son, altra ballata che si innalza nel finale in un coinvolgente
crescendo gospel americana, mentre Deeper Kind accelera il ritmo con disinvoltura
southern rock. Non ci sono particolari trucchi in People Are My Drug, ogni nota
è rimessa a un senso comunitario e onesto di porgere la propria musica, e questa
sembra essere proprio la sua chiave di lettura vincente.