Son Volt
Notes of Blue
[Transmit Sound/ Goodfellas
2017]

www.sonvolt.net

File Under: traces of american blues

di Fabio Cerbone (20/02/2017)

Jay Farrar ha sempre avuto una voce antica come i primi pionieri, più vecchia della sua effettiva età ed espressione di un'America ideale e concreta al tempo stesso, quella "no depression" da provincia rock che ha testimoniato con la sua opera fin dagli anni divenuti leggenda insieme agli Uncle Tupelo. Approssimatosi ai cinquanta, dopo avere festeggiato il ventennale di Trace, esordio dei Son Volt che sospinse un intero movimento, il cosiddetto alternative country, sotto la ribalta dei riflettori, è quasi logico che Farrar venisse al blues. Inteso quest'ultimo, sia ben chiaro, non come scelta stilistica in sé, come linguaggio musicale con precisi codici da ricopiare, semmai quale veicolo per parlare di temi universali quali la lotta per la sopravvivevnza quotidiana e la ricerca di una redenzione.

Così si esprime Jay Farrar per descrivere Notes of Blue, album conciso e ispirato, che del blues cattura un concetto, uno spirito, più che un semplice suono, anche se le accordature, il call & response dei versi, alcune suggestioni negli arrangiamenti nascono comunque dall'intenso ascolto di Mississippi Fred McDowell e Skip James, citati non a caso e testimoni delle ombre più scure e fangose di questa musica. Ai quali però dovremmo aggiungere, per bilanciare, Richard Thompson, Nick Drake e naturalmente Hank Williams, la solitudine folk e il canto operaio del country, o magari la stessa Carter Family da cui iniziò tutto il lungo viaggio di Farrar stesso. La conclusione è un disco assennato, profondo e coerente come non accadeva da tempo, senza dubbio molto più a fuoco del tentativo nostalgico espresso in Honky Tonk. Non c'è forse il gusto della ricerca sonora che ancora oggi dovrebbe far rivalutare un lavoro poco compreso come The Search, eppure siamo travolti da una piena di desolazione alt-country che nell'uno due iniziale di Promise of the World e Back Against The Wall ci ricorda perché i Son Volt sono giustamente considerati precursori e maestri di un genere.

Si tratta anche degli episodi più familiari e contestualizzati nella loro storia passata, i meno avvezzi all'indole blues di cui sopra, che comincia ad incalzare fra la muraglia elettrica e lo sferragliare ritmico scheletrico di Static e Cherokee st., materiale che non scalciava con questa grezza verniciatura rock da molto tempo a questa parte. La band ha subito repentini cambiamenti negli anni, anche se l'assistenza di John Agnello in sede di produzione garantisce una certa continuità. È pur vero che il solo Jay Farrar sembra oggi più che mai il fulcro della vicenda Son Volt e la sua setssa nemesi. E lui la porta a inseguire i fantasmi di un hillbilly rock irruento con Sinking Down, nonchè misterioso in Midnight, prima di acquietarsi tra il fingerpicking a passo country blues di una dolcissima The Storm, oppure ancora adagiato fra le terre sudiste di Cairo and Southern.

Un canto antico, come si diceva in partenza, quello di Farrar, che con tutti i limiti del suo registro, non si esprimeva con questo trasporto da troppo tempo: è il timbro ideale per guidarci fra le turbolenze del "blues" verso la luce della salvezza.


    


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