Un
ventenne cresciuto a Greenville, South Carolina, con un padre Marvin musicista
itinerante di blues e una scrupolosa educazione sentimentale alla cultura musicale
di quella regione, fatta di "pericolosi" incroci fra bianco e nero, non poteva
che finire ad incidere un disco come questo. C'è aria di bollente southern soul
e glorioso rock confederato, di improvvisazioni jazz rock e libere jam chitarristiche,
di appassionati incontri fra blue eyed soul e funky nell'omonimo The Marcus
King Band, esordio in uno stile già forgiato e solido per un'etichetta
come la Concord (Universal) e possibile trampolino di lancio di uno dei nuovi
talenti della scena negli anni a venire.
Dietro l'operazione siede la
regia attenta di Warren Haynes, spirito affine e sorta di padre putativo
del nostro Marcus King, folgorato da alcune esibizioni dal vivo del ragazzo, palestra
naturale in cui portare a maturazione questo approccio alla canzone rock venata
di vibrazioni soul. Ciò non toglie che le qualità stiano tutte nell'ugola (figlia
di biondi spiriti blues come Greg Allman) e nella sei corde di King, che ha rubato
i segreti in famiglia e si è messo in mostra a livello indipendente grazie al
debutto del 2015 Soul Insight. The Marcus King Band rappresenta la progressione,
più professionale e potenziata, di questo percorso, con un cameo di un altro fratello
mancato, Derek Trucks, in Self-Hatred
e lo stesso Warren Haynes a spingere sull'acceleratore di un arcigno rock blues
dalle tonalità settantesche in Virginia. Avrete
già capito ormai da quale parte soffia il vento in queste tredici tracce: la comunione
di intenti con progetti come Derek Trucks Band e in parte Gov't Mule (ma dovremmo
meglio dire l'Haynes solista...) è palese, mentre dal passato arriva la protezione
di Allman Brothers Band, Little Feat e per certe sfumature country (accade in
un paio di episodi come Guitar in My Hands
e Sorry Bout Your Lover) della gemella Marshall Tucker Band.
Un
mondo sudista che vive sulla strada e dalle pulsioni ritmiche, dal calore di certa
southreh music trae linfa vitale. Nel caso della Marcus King band c'è una piccola
e agguerrita sezione fiati nelle mani di Dean Mitchell (sax) e Justin Johnson
(tromba e trombone) a infondere una costante corazza r&b ai brani, una gioiosa
esplosione di colori che apre i giochi in Ain't Nothin' Wrong With That
e si scioglie seguendo l'emotività vocale del leader in Rita
is Gone e Jealous Man, traboccante
di pathos nell'interpretazione. L'amalgama con il sound ardente dell'organo di
Matt Jennings è l'elemento chiave che stempera le smanie alla solista di Marcus
King: la voglia di jammare c'è tutta e si sente, ma per fortuna non perde mai
di vista il cuore della canzone (The
Man You Didn't Know, ballata bluesy con una slide da manuale)
e il senso del groove, che detona in un funky rock da manuale come Plant Your
Corn Early e tallona da vicino il rock'n'roll più classico dei seventies nel
crescendo di Devil's Land.
La fantasia
strumentale, i dialoghi continui fra ritmica e solisti sono l'essenza di un suono
che non è in sé e per sé originale, paga il giusto tributo alle proprie fonti
di ispirazione (per esempio in uno strumentale come Thespian Espionage,
che certo Derek Trucks farebbe suo) ma ha dalla sua parte l'esuberanza della gioventù.