Ben Harper & The Innocent Criminals
Call What It Is
[Stax/ Universal 2016
]

www.benharper.com

File Under: Ben shines again

di Pie Cantoni (15/04/2016)

C'era una volta uno skater di Claremont, California che divenne un profeta internazionale del mondo della musica, una voce forte degli anni '90, un ragazzo cresciuto fra reggae e country di nome Ben Harper. Era stato innalzato a redentore perché la sua musica era riuscita ad emergere dal mare magnum dell'industria discografica troppo affollata di quel periodo, fra miriadi di gruppi post grunge, nu-metal, punk-rock e crossover, mischiando sapientemente spiritualità e groove, in modo sorprendente. I suoi apostoli, gli Innocent Criminals, lo avevano accompagnato in dischi memorabili, toccando gospel, rap, funk, rock e raggae, senza mai dimenticare il padre Blues fino al momento in cui rimase solo, producendo album mediocri con musicisti altrettanto mediocri che gli grattarono via quella patina di santità che si era faticosamente guadagnato prima del nuovo millennio.

Anche se l'introduzione è un po' sacrilega, l'entusiasmo è dato dal fatto che quegli "apostoli" sono tornati e si sono riuniti finalmente a Ben Harper in tutta la loro potenza e splendore, ed è un ritorno da celebrare. Call it What It Is è un album che, per chi come noi è stato un ammiratore della prima ora, è una boccata di aria fresca a pieni polmoni dopo i vari progetti mai troppo convincenti dei R7, Fisftul of Mercy e album zoppicanti (per non dire disastrosi) come Both Sides of the Gun, Lifeline o Give it Till it's Gone. L'album apre con When Sex Was Dirty, un rock semplice che ricorda troppo i R7 nonostante il testo arguto sempre ben scritto (I remember when sex was dirty/and everything worth knowing was on a magazine) ma che non dà il giusto avvio al disco, che ha ben altro da offrire. Deeper And Deeper scalda i motori, migliorando l'inizio ma non convincendo ancora a pieno. Call It What It Is invece è "il" pezzo alla Ben Harper. Con un giro di slide che potrebbe essere rubato a Blind Willie Johnson (Nobody's fault but mine o giù di li) e un testo politicizzato (Chiamalo per quello che è/Omicidio) sulla situazione dei neri in America, è quello che qualunque fan di Ben si aspettava dai tempi di Like a King. Inoltre i flash di percussioni di Leon Mobley ci fanno pregustare già gli assoli che farà dal vivo, con le braccia mulinanti come eliche. Pezzo superlativo.

How Dark Is Gone, con un incedere alla "Breakin the Girl", è un brano strano per BH ma ricco di pathos ed eseguito, da grandi musicisti quali sono gli IC, in modo splendido. Shine fa onore alla casa discografica, la Stax, così come Bones, con il suo feeling rhythm n' blues. Solo slide e voce per All That Has Grown, anche qui old style ma risultato garantito, per uno dei pezzi più belli dell'intero album. Pink Balloon, scritta con la sua attuale moglie (la terza) ha più un incedere moderno, forse un po' troppo hip per essere di Ben Harper, ricorda quasi il Jack White solista, e rimane fra i tre pezzi dimenticabili, anche perché troppo "alla R7" per stare in questo disco. Ritorno al reggae con Finding Our Way, genere che Ben frequenta sempre volentieri e con ottimi risultati, come chi ha assorbito Bob Marley da ogni poro della pelle, mentre Dance Like Fire, che parla di rivoluzionari e profeti, è una ballata mid tempo che rientra nella comfort zone per Ben Harper, ovvero uno di quegli ambiti su cui sa muoversi meglio. Goodbye To You, è un dolce addio, scritto chissà per chi, e che completa il disco, cantata con un filo di voce, come spesso accade nei dischi di Ben Harper.

A conti fatti Call it What It Is è un ritorno forte da parte di Ben Harper, un ritorno di quelli che ci saremmo augurati nei momenti in cui sembrava che il cantante californiano avesse un po' smarrito la via. Dopo tanto tempo il profeta di Claremont che conoscevamo è di nuovo tra noi e il suo messaggio è tornato a farsi sentire chiaro e deciso. Halleluja.


    


<Credits>