William Elliott Whitmore
Radium Death
[
Anti/ Self
2015]

www.williamelliottwhitmore.com

File Under: farmer's folk

di Davide Albini (08/04/2015)

Fermi tutti, che succede? Una batteria, ho sentito bene? Di tanto in tanto anche un organo e qualche chitarra elettrica che si fa largo… Conosciuto come una delle figure più integerrime della scena roots americana, spirito punk racchiuso nell'anima di un vecchio folksinger, William Elliott Whitmore si era conquistato un suo pubblico attraverso ballate scarne, banjo e chitarra acustica i soli compagni di ventura, e quella voce, signori, che raspa tutto il tempo. Dopo quindici anni di carriera e una serie di album che hanno contraddistinto tale stile, una sorta di ritorno alle origini della tradizione, Radium Death è il disco che spiazzerà in partenza i suoi estimatori. Capiamoci: qui nulla è davvero cambiato nella sostanza, perchè questo agricoltore dell'Iowa, che ha ereditato la fattoria dal padre a Lee County, imparando a rispettare i cicli della terra e le sue esigenze, continua a offrirci una musica ridotta all'osso, seppure questa volta suonata con un briciolo di elettricità in più.

Se andiamo alla radice di Healing to Do e Trouble in Your Heart e ci dimentichiamo per un attimo della ritmica più presente, nulla davvero è così lontano da quanto Whitmore ci ha presentato nei lavori precedenti. Questa musica continua a parlare di dolore, speranza e rinascita, di temi universali, della vita dovremmo semplicemente dire, per cui l'apprezzamento non è legato tanto a una questione di stile e arrangiamento, quanto di esperienza vissuta. È sempre quell'etica del "do it yourself", imparata alla scuola punk rock, questa volta però sguainando una chitarra elettrica alla maniera del primo Billy Bragg in A Thousand Deaths, oppure con la band al completo nel roots rock arrembante di Don't Strike Me Down (pare di sentire una band alternative-country dalla sterminata provincia americana) e nel commovente finale di Ain't Got Yet, voci gospel e anima country soul per l'episodio migliore di Radium Death. L'adorabile suono della pedal steel accompagna invece per mano il banjo di Whitmore nel walzer Can't Go back. Ecco, il banjo: William non lo ha messo in soffitta, riprendendo anzi quelle sue preghiere folk dall'Iowa rurale con Civilizations e Have Mercy, roba che come al solito non stonerebbe in una vecchia antologia di musica americana, dimenticata per sempre fra la polvere della memoria.

Ispirato alla vicenda delle cosiddette "radium girls", operaie dei primi del Novecento che lavoravano a contatto con il radio (per rendere fluorescenti i quadranti degli orologi) e per questo pagarono un duro prezzo alla loro salute, Radium Death è una metafora su ciò che la società ci vende come un fatto positivo per la nostra crescita e invece ci uccide dal di dentro, su chi mente sapendo di mentire e su come possiamo proteggerci dalla falsità malvagia di queste persone. Registrato presso i Flat Black Studios di Iowa City, insieme al cugino e produttore Luke Tweedy, Radium Death ha richiesto tempi più lunghi del previsto, proprio per il "nuovo" approccio di Whitmore, coinvolgendo i diversi musicisti a suonare dal vivo su alcune tracce, poi completate tra lo studio casalingo e la sala di incisione. Nulla che abbia veramente intaccato la semplicità, oserei dire la sincera "povertà" di approccio di questo musicista.


    


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