John Hiatt
Terms of My Surrender
[
New West
2014]

www.johnhiatt.com

File Under: crossing the blues again

di Fabio Cerbone (29/07/2014)

Il Wall Street Journal lo ha recentemente definito "un instancabile songwriter". Come dargli torno: a 61 anni suonati, con ventidue album sul groppone, John Hiatt non ha intenzione di cedere di un millimetro dall'arte del songwriting. Con tutti i pro e i contro di una simile scelta: insomma, nessun precoce ritiro dalle scene o un dosaggio più misurato delle proprie uscite, semmai una necessità musicale che lo fa ritornare sul luogo del delitto più o meno una volta ogni due anni (persino con frequenze più ristrette), con risultati altalenanti purtroppo, una buona qualità intervallata da tanto mestiere, ma anche con la voglia costante di misurarsi con le sue storie. Dunque, dopo la positiva accoppiata di Dirty Jeans and Mudslide Hymns e Mystic Pinball, dischi sempre targati New West in cui Hiatt percorreva il battito sudista e la ballate rock dai sapori country che lo avevano sempre contraddistinto, Terms of My Surrender chiude idealmente questo trittico e questa stagione mediamente ispirata (seppure lontana, per tante ragioni, dalla brillantezza degli anni migliori) con un ritorno al blues e alle radici, in qualche modo riprendendo il discorso del piccolo capolavoro Crossing Muddy Waters.

Ci sono evidenti punti di contatto stilistici con quel disco, anche se la produzione con Doug Lancio e le dinamiche sviluppate insieme a The Combo (oltre a Lancio, Nathan Gehri al basso, Kenneth Blevins alla batteria, alcuni interventi di John Coleman alla tastiere) scelgono un suono più rilassato, laid back, altre volte un'atmosfera leggermente più urbana, a cominciare dall'attendista Long Time Comin' piazzata in apertura. Album umile e senza dubbio "minore", nel suo rimuginare su amore, rapporti umani e vecchiaia, Terms of My Surrender possiede un suo fascino bluesy, nonostante la routine sia un prezzo da pagare per un autore che decide di non frenare la sua produzione. Non tutto fatalmente è di prima scelta - la stessa title track traccheggia un poco con scaltrezza e l'equilibrio elettro-acustico di Come Back Home sa tanto di ennesima variazione su temi "alla John Hiatt" - ma quando parte il velluto folk swingato di Marlene e i suoi coretti irresistibili, la classe è ancora intatta, così come sorprende il timbro scurito e densamente blues della voce roca di Hiatt nel gioiellino Wind Don't Have To Hurry, densa ballata sudista falciata dai cori black, o ancora nella morbida e rustica Nobody Knew His Name per mandolino e dobro.

Un paio di "lentacci" affondati nelle acque salmastre del blues, tra il boogie rilassato di Nothin' I Love e una ossessiva Here to Stay avvolta in riverberi degni del Bob Dylan di Time out of Mind (la somiglianza è anche stilistica) tendono a trascinare Terms of My Surrender in un lavoro di genere, ma nel finale il delizioso country infuso di gospel dal titolo Old People risolleva le sorti e porta a casa ancora una volta un risultato rispettabile. Qualcuno potrebbe obiettare che una scelta più prudente e una selezione del materiale in questi anni avrebbero forse prodotto dei mezzi capolavori, invece di tanti dischi disseminati qui e là, e avrebbe ragione, ma John Hiatt comincia a far parte della categoria di quegli autori fuori del tempo, per i quali incidere è un po' come l'ultima ragione di vita.


    


<Credits>