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Music from the Big Barn di
Fabio Cerbone (09/06/2014)
Basta
scorgere le foto che arrichiscono il libretto interno, completamente tappezzato
di scatti dal cosiddetto "Studio In A Barn", per cogliere un po' il senso (e il
suono) di un'operazione discografica quale Me and the Devil. È il
gusto dell'incontro, della condivisione, di amicizie che sono nate sulle traiettorie
fra Europa e Stati Uniti, ma anche la sintesi perfetta di una musica che vuole
essere livida, in presa diretta e magari cogliere quella nota di spontaneità e
"sporcizia" che una vecchia cascina del pavese ha saputo restituire a Edward
Abbiati e Chris Cacavas. Sono loro a dividersi democraticamente la
titolarità di questo lavoro, un 50/50 di testi e musiche che ovviamente incrocia
le sensibilità differenti (ma non così distanti, naturale) della voce dei Lowlands
e dell'ex Green On Red. Avevano già collaborato in passato, proprio nelle produzioni
dei Lowlands (l'esordio Last Call), oggi Cavavas fa le valige dalla Germania,
dove da anni risiede e incide, per unirsi in questi cinque intensi e bollenti
giorni di agosto del 2013 a Pavia, quando Me and the Devil ha preso forma con
gli innesti di Winston Watson (Bob Dylan, Giant Sand e molti altri) alla
batteria, vecchia conoscenza dello stesso Cacavas e di Mike Slo-Mo Brenner
(Marah, Jason Molina), chitarra e pedal steel con cui Abbiati ha incrociato
spesso il suo percorso.
Speziata la ricetta con il sax baritono di Andres
Villani, il violoncello di David Henry, nonché l'armonica di Richard Hunter e
la chitarra di Stefan Roller nella title track, l'album gronda un rock'n'roll
ricco di groove e di graffi soul, che getta uno sguardo sulla periferia di questa
musica, sulle sue facce notturne e segrete. È la sensazione sprigionata dal notevole
trittico inziale, con il grasso boogie di Against the
Wall, gli strascichi tra funk e psichedelia della stessa Me
and the Devil, attraversata dai rintocchi inconfondibili dell'organo
di Cacavas, che sembra tornare ai tempi di Green on Red, per finire nella palpitante
e bluesy Oh Baby Please, che piacerebbe ai
Los Lobos (il sax martella paffuto come il migliore Steve Berlin). Coinvolge piacevolmente
il dialogo delle due voci, così differenti eppure complementari: l'esile tocco
di Cacavas, la più rauca e sofferta di Abbiati, che anche stilisticamente riescono
a conservare le loro anime nello scorrere della scaletta, senza restare chiusi
nei loro recinti esclusivi.
Capita allora che la docile The Week Song
e i languori della steel ricordino il folk più struggente dei Lowlands, tanto
quanto il loro spirito altrenative country e desertico di Rest
in My Life e Can't Wake Up, e che infine la bluastra Hay
Into Gold esprima tutto l'affetto di Edward Abbiati per certo irrequieto
rock d'autore americano, qui tra il più malinconico Paul Westerberg e un suo discepolo
come Matthew Ryan. Cacavas da par suo sembra rivitalizzato da questa collaborazione,
come non accadeva da tempo nella sua produzione solista: Long
Dark Sky è sensuale e pulsante, un rock virato al nero che torna alla
stagione con i suoi fedeli Junkyard Love, sublimata dalla mutevole, younghiana
fino al midollo The Other Side. Non fatevi
ingannare dall'idea di estemporaneità, Me and the Devil è uno di quei nobilissimi
"b-records" che diventano invece colonna sonora di un rock'n'roll vissuto in presa
diretta, molto più dell'ufficiale etichetta di questa musica.