Daniel Romano's Outfit
Okay Wow
[You've Changed Records 2020]

danielromanomusic.com

File Under: electric flood

di Fabio Cerbone (08/06/2020)

Dove le teneva nascoste queste canzoni Daniel Romano? Ma soprattutto dove si annidava questo sound, frenetico e nervoso, con un combo elettrico al suo fianco a dargli ulteriore manforte? Canadese eccentrico e dalla personalità musicale sfuggente, Romano era partito con i vestiti di un novello Gram Parsons e gli orizzonti country più classici, si era preso una sbandata per l’Americana dal taglio cosmico e psichedelico (nel disco a tutt’oggi più interessante del suo catalogo, If I’ve Only One Time Askin’), salvo poi partire per la tangente, spiazzando ad ogni curva nei successivi Mosey, Modern Pressure e Finally Free, tutti album eclettici, con autentiche illuminazioni, ma anche parecchie cadute di stile, pasticci volutamente cercati per assecondare ogni desiderio della propria educazione musicale, dal pop più stralunato all’indie rock, alle trame di un folk allucinogeno. Nel frattempo Romano ha trovato anche il tempo di proseguire la sua passione parallela per la poesia, pubblicando diverse raccolte, oltre che formare un sorta di supergruppo denominato Ancient Shapes, tre dischi all’attivo definiti come “flower pop”.

Ce n’è abbastanza da far girare la testa, ma in fondo è la conferma del carattere indefinibile del personaggio e di quel talento anarchico che spesso emerge da molti songwriter contemporanei, liberi, nell’indipendenza ostinata, di inseguire ogni loro capriccio. L’ultimo in ordine di tempo è quello del sestetto denominato Daniel Romano’ Outfit, formato insieme a David Nardi, Roddy Rosetti, il fratello Ian Romano, Juliana Riolino e Tony “The Pope” Cicero, quello riuscito meglio e che cambia completamente le prospettive. Per presentarsi al mondo Daniel ha scelto un disco dal vivo, la sintesi migliore della spiritata musica che muove la band: inciso da Kenneth Roy Meehan nel corso del tour europeo in terra scandinava, Okay Wow è il titolo più approriato per ribadire la sorpresa al suo primo ascolto e dell’impatto che avrà, se avete un debole per il folk rock più agitato e garagista, il rock’n’roll stradaiolo che unisce la svelta melodia pop di Tom Petty con le chitarre del CBGB’s newyorkese e il Bob Dylan tarantolato della Rolling Thinder Revue.

Esagerato? Sì, certo che è esagerato, come lo sono queste quindici canzoni che pescano in lungo e in largo nel repertorio di Romano (anche con qualche inedito), ma ne stravolgono i caratteri, nulla avendo a che fare con gli originali incisi in studio. La cura degli Outfit è rigenerante e mentre Daniel si ostinava spesso a incidere i suoi dischi - forse per parsimonia economica, ma più probabilmente per maniacale desiderio di controllo e un po' di sana follia autarchica - in totale solitudine, il confronto diretto con le dinamiche del gruppo fa esplodere letteralmente il suono, adesso indiavolato, urgente nella sua fiammeggiante poesia street rock. C’è Empty Husk, tratta da Finally Free, l’ultimo disco pubblicato per la New West, a far capire che qui si rotola, galoppando a rotta di collo. La voce acuta e nasale di Romano ci mette del suo nell’evocare fantasmi dylaniani, mentre l’incastro con Toulouse annuncia un folk rock bluesato che ha l’Highway 61 che gli scorre nelle vene. I brani si susseguono senza soluzione di continuità e questo perenne cavalcare è la chiave di volta per accogliere l’irrefrenabile spirito rock’n’roll degli Outfit: Hard on You sgroppa nella prateria rock con una citazione per Neil Young, prima di sciogliersi nell’irrequitezza garage punk di Time Forgot (To Change my Heart).

Quando arriva Roya, ballad elettrica accalorata che ben poco ha da spartire con il tenore dell’originale (da Modern Pressure del 2017), si apre una finestra sul piglio settantesco degli Outfit, che non fanno nulla per nascondere l’amore verso l’accopiata Dylan & The Band, sebbene sembrino rubarne fino all’ultima goccia di vigore, quello di Before the Flood, e spararlo con The Long Mirror of Time e Hunger Is a Dream You Die In in un affollato club newyorkese. Strange Faces scalcia con baldanza post Ramones, mentre Sucking the Old World Dry si diverte a fare a fette il roots rock con deragliamenti e cacofonie annesse, tornando poi sui binari della tradizione di un rock urbano tutto cuore e melodia in Neverless. A questo punto diventa persino ridondante citare ogni giravolta della band (anche se il fragore di Modern Pressure non può passare inosservato), tanto si sarà capito che Daniel Romano qui ha deciso di non fare prigionieri, non avendo nulla da perdere.

C'è da scommettere che con l’imprevedibilità che lo contraddistingue, la prossima volta Romano cambierà ancora le carte in tavola, e chissà in quale direzione andrà a parare: per cui, sentitemi, conviene approfittarne finché siete in tempo, perché qui ci sono tra chitarre e rock’n’roll tra i più vitali che si siano ascoltati di recente... Con buona pace della loro reiterata morte, annunciata a più riprese.


    

 


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