Glen Hansard
Rhythm And Repose
[Anti
2012]

www.glenhansardmusic.com


File Under: folk rock for sad people

di Fabio Cerbone (07/12/2012)

Certi recuperi arrivano al momento giusto: pubblicato agli inizi della stagione estiva, in netto contrasto con il suo carattere malinconico e finemente autunnale, Rhythm and Repose può trovare nuove ragioni d'essere nel mezzo di questa fredda stagione. Fuori dai banali accostamenti climatici, me ne rendo conto, l'avventura solista di Glen Handard resta comunque uno sforzo artistico meritevole di una segnalazione a parte nel ricco calderone delle uscite 2012 a carattere cantautorale: per la sua integrità, per il gesto raccolto e intimista, per la forza generale delle interpretazioni di questo folksinger dall'animo triste. Chiuso infatti il rapporto fruttuoso con Markéta Irglova e il fortunato binomio Swell Season, l'ex leader degli irlandesi The Frames non perde per strada il suo lirismo, declinandolo semmai in un melodramma folk dove ogni melodia sottolinea la fragilità dell'uomo, della sua condizione attuale, mettendo a nudo un momento particolare della vita.

Non si può parlare di svolta, perché dietro ogni nota di Rhythm and Repose c'è la storia di questo autore, da sempre in balia delle emozioni: non sono rinnegate la sua storia, il suo passato, anche il sound che lo ha contraddistinto, a cominciare dal successo inaspettato di Once (film e colonna sonora che ne hanno allargato l'attrazione presso il pubblico). Ma è pur vero che Rhythm and Repose echeggia in tutto e per tutto come un gesto privato, quello che in defitiiva deve incarnare un album solista. Attraversato da una teatralità dolorosa, da sprazzi di luce e melodie uggiose, incentrato giustamente dalla produzione di Thomas Bartlett sulla voce accorata dello stesso Hansard, il disco profuma di classico blue eyed soul e folk pop settantesco, sviando da un'apparente cappa scura introdottta con You Will Become. Dietro l'angolo ci sono la luce e la calma di Maybe Not Tonight, "harrisoniana" (nel senso di Georgie Harrison) fin nella nervatura, l'agrodolce solarità Love Don't Leave Me Waiting, nonché un fagotto di ballate folkie, asciutte ma mai scarne, dove l'interplay fra piano e chitarre acustiche non potrà che scomodare (ed è già stato fatto, non arrivo che ultimo nell'analisi) Cat Stevens e tutti i seguaci che in una stagione lontana accesero i riflettori sull'interiorità.

Glen Hansard non ha bisogno comunque di alcun confronto per misurare la sua ispirazione, tanto meno di una soggezione che non gli renderebbe giustizia: anche perché la perfezione cristallina di High Hope e Races (un banjo o una slide guitar di tanto in tanto ad aprirsi un varco verso la tradizione) o il grido disperato lanciato nella corsa di Bird of Sorrow, la sensibilità acustica con cui si accompagna in What Are We Gonna Do, mantengono una tensione tale che difficilmente farà prendere sotto gamba le ragioni di un disco simile. Certo, il rischio è che giunti ai sospiri di Philander, con la crescente ansia degli archi di fondo, o nella parsimonia folk di The Song of Good Hope si possa scambiare Rhythm and Repose per un'opera troppo ombrosa, tutta incentrata sul cuore spezzato di Hansard. Eppure qui ci sono canzoni che sanguinano e chiedono soltanto la pazienza giusta per essere accolte.


    


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