Waxahatchee
Saint Cloud

[Merge/ Goodfellas 2020]

waxahatchee.com

File Under: detox records

di Nicola Gervasini (08/04/2020)

Così come esistono liste di dischi ispirati alla dolorosa fine di una relazione (per esempio Blood On The Tracks di Bob Dylan, per dirne uno dei più famosi), si potrebbe fare anche un elenco di album nati in seguito alla rinascita dopo grossi problemi di alcolismo (quelli sui problemi di droga sono un altro capitolo, e forse ben più corposo). Saint Cloud potrebbe essere uno di questi, album prodotto da un’artista di cui non ci eravamo ancora occupati su queste pagine, ma che vanta ormai una corposa carriera discografica. Katie Crutchfield infatti, soprannominata artisticamente Waxahatchee dal nome di un fiume dell’Alabama, tra il 2008 e il 2011 aveva prodotto due album con la band P.S.Eliot, creata con la sorella gemella Allison Crutchfield, sigla poi riesumata nel 2016 per un tour a supporto di una raccolta. Dal 2012 ha iniziato a pubblicare con il nuovo nickname, arrivando ora al quinto album dopo American Weekend (2012), l’acclamato Cerulean Salt (2013), Ivy Tripp (2015), e il sofferto Out in the Storm (2017).

Proprio quest' ultimo titolo, prodotto dall’esperto John Agnello, era un disco molto maturo ma anche molto tormentato, e infatti nel tour successivo Katie ha avuto non pochi problemi per l’eccessivo consumo di alcool. Un vizio che l’ha portata a fermarsi per un anno per rigenerarsi, aiutata dal nuovo fidanzato Kevin Morby (con il quale ha anche pubblicato un paio di brani), e concepire così da sobria questo Saint Cloud. Disco della rinascita, ma anche nuovo punto di arrivo di uno stile di cantautorato femminile portato alla sperimentazione che qui, a parte l’interlocutorio incipit di Oxbow, si fa canzone mainstream-roots pura con una Can’t Do Much che ricorda molto le migliori canzoni di Kathleen Edwards. Un leggero cambio di direzione che forse non tutti i suoi fans della prima ora apprezzeranno, visto che un brano come Lilacs, con il suo ritornello così radiofonico, arriva quasi ad invadere il campo della reginetta del country-che-piace-anche-al-mondo-indie Kacey Musgraves.

Ma la pasta di cui è fatta Katie è sicuramente più spessa, come dimostrano brani più strutturati quali Fire o la title-track finale, ma è innegabile che il giro puramente rurale di The Eye si accasa in territori musicali al riparo da coraggiose sperimentazioni. Dal lato nostro notiamo però che con questo album, se Waxahatchee perde forse qualcosa delle sue peculiarità giovanili, sicuramente guadagna in statura di autrice, quasi che a soli 30 anni e con già una lunga storia da raccontare, Katie senta ormai il bisogno di parlare chiaro come fa in Hell, racconto del suo recente inferno da alcolizzata. Certo, non si era troppo abituati a sentirla cantare su un giro semplice, quasi alla John Fogerty, come Witches, o a vederla seguire le orme del combat-folk delle Indigo Girls in War, ma un brano intenso quale Arkadelphia, tesa dark-folk-song che potrebbe addirittura ricordare lo Springsteen più recente, penso che metterà tutti d’accordo sulla sua statura.

Saint Cloud potrebbe davvero essere uno dei dischi da heavy rotation di questo 2020.


    


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