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Matt Berninger
Serpentine Prison
[Concord/ Caroline 2020]

Sulla rete: facebook.com/mattberninger

File Under: rainy music


di Giovanni Andreolli (27/10/2020)

“Where are You? You said You’d here by now”. Forse sono queste le parole più adatte, prese dalla penna dello stesso Matt Berninger (Take Me Out of Town), per descrivere Serpentine Prison, esordio solista del noto cantautore e voce dei National: il precario senso d’abbandono infatti è il tema più evidente che emerge dai testi, che Matt aveva già iniziato a mettere giù a partire dall’ultimo disco del gruppo di Cincinnati, I’m Easy to Find, e ora resi più intensi grazie all’aiuto di importanti collaboratori, tra cui il produttore Booker T. Jones (un’autorità nel mondo musicale americano, le sue collaborazioni sono tante e blasonate), ma anche la storica bassista di Bowie, Gail Ann Dorsey, qui in qualità di seconda voce (come si può apprezzare in One More Second).

La definizione migliore che si può dare dell’album è quella che mi è capitata di leggere pochi giorni addietro: “autunnale”. L’impressione che si ha alla fine dell’ascolto è di una forte instabilità, Berninger non ha paura di mostrarsi debole, e mette in mostra la propria fragilità in brani d’amore dove l’angoscia di essere abbandonati o la desolazione nell’essere soli è oggetto continuo d’indagine (“Give me one more life to win you back”). Ed elemento notevole è il fatto che l’autore è ormai più che maturo e, secondo leggi non scritte, e forse stereotipate, dovrebbe essere a questo punto abbastanza consapevole da superare quelle insicurezze che il mondo attribuisce alla sola adolescenza. Ma per fortuna non è così: con delicatezza e profonda umanità Berninger dà voce ad ansie e preoccupazioni che possono riguardare tutti coloro che sono giunti alla piena maturità, senza fornire soluzioni o morali ma solo uno spettro pieno di sensazioni, in cui ci si può incontrare: “One of these days the sky’s gonna rain, so why are You crying?”

All for Nothing e la sontuosa Silver Springs hanno rimandi più esistenziali, dove la voce poetica si interroga sulla vita, senza avere risposte (“Everyone’s a passenger in this place”), lasciando soltanto un piacevole, non amaro, senso di mistero. Quando un artista si allontana dal suo gruppo per tentare la carriera solista il risultato non è mai scontato, anche se già da tempo ha dimostrato il suo valore. Ma le scelte fatte in Serpentine Prison sono perfette: la musica, molto classica, tra un suono prevalentemente acustico, armoniche a bocca, violini e ottoni, non è mai banale e lascia in primo piano la voce; e forse proprio qui si manifesta la differenza coi National, dove invece, giustamente, la scena viene condivisa con gli altri membri del gruppo. A mio parere, una delle migliori uscite dell’anno.


    


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