Ryley Walker
All Kinds of You

[Tompkins Square 2014]

www.tompkinssquare.com/ryley-walkel

File Under: folk rock, psych-folk

di Fabio Cerbone (17/05/2014)

Sulla scia del contemporaneo rinascimento folk a tinte psichedeliche e con sprazzi di arrangiamenti jazz, il nome del ventiquattrenne Ryley Walker reclama a gran voce il suo spazio. Dopo l'interessante viaggio onirico di Steve Gunn la scorsa stagione, anche il qui presente All Kinds of You si va a collocare in quella terra un po' desolata e affascinante di raffinati picker acustici che cercano di inseguire i fantasmi di lontane stagioni a cavallo dei sixties: quelle della riscoperta folk blues in casa Takoma di John Fahey o ancora meglio delle tormentate anime di Tim Hardin sulla costa americana e di John Martyn e Bert Jansch su quella inglese, giusto per rendere subito espliciti i punti di riferimento del giovane chitarrista di Chicago. Non per tagliare immediatamente le gambe al buon Ryley Walker, consapevoli di paragoni insostenibili per chiunque, ma le trame delle sue melodie, la ricerca sullo strumento, le stesse evidenti radici musicali, conducono con naturalezza a quel percorso artistico.

La sua storia affonda nella scena più sperimentale di Chicago, attraverso alcune collaborazioni con il chitarrista Daniel Bachman e la realizzazione di due ep assolutamente indipendenti, prima di approdare alla Tompkins Square con un vinile di soli tre brani, che lo scorso anno ha anticipato il vero e proprio esordio discografico. Un luogo ideale quello dell'etichetta di San Francisco, da sempre interessata a queste sonorità e in generale a rinverdire i fasti una folk music americana per vocazione defilata e sotterranea (si veda l'esordio di Hiss Golden Messenger). Registratto sotto le direttive di Cooper Crain (della band dei Cave) e con gli interventi assai misurati di una sezione ritmica dalla struttura jazz (Ben Billington e Dan Thatcher) su cui si inseriscono le rifiniture del piano di Ben Boye e della viola di Whitney Johnson, All Kinds of You alterna ballate e strumentali che sono piccoli mantra di malinconica poesia acustica.

La voce di Walker non è un miracolo di estensione, ma possiede tutta la seduzione per evocare effettivamente lo struggimento bluesy di un compianto Tim Hardin (splendida la breve Great River Road, così come il duello con l'elettrica di Brian J. Sulpizio in On the Rise) e la complessità di scrittura di un Tim Buckley che emerge in The West Wind, Blessings e Clear the Sky. Ma lasciate pure in disparte queste fascinazioni e continui richiami - colpa della pigrizia del vostro recensore di turno - occorrerebbe entrare semplicemente nella mente del musicista Ryley Walker, abbandonandosi al sinuoso e magico folk jazz di Twin Oaks, Pt. 1, poi ripreso in una dilatata seconda parte che lascia riverberare tutte le sfumature della chitarra del protagonista, sia quando prende la parola in solitaria (la chiusura con Tanglewood Spaces), sia quando si accompagna ai rintocchi svolazzanti del pianoforte, come in Fonda. L'immagine di copertina racconta una "spendida solitudine" e un raccoglimento che potrebbero uscire dall'ultima opera dei fratelli Coen, ma Ryley Walker non è un "Llewyn Davis" qualsiasi...


   


<Credits>