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southern songwriter di
Fabio Cerbone (14/12/2015)
Poeta
laureato alla scuola del rock'n'roll, Kevin Gordon è uno di quegli "autori
per autori", apprezzato da una ristretta cerchia di colleghi, ma mai veramente
uscito dal ghetto dell'american music più sincera. Per lui l'amica Lucinda Williams
spende parole importanti, descrivendo le canzoni di Gordon come perfette "short
stories", mentre il critico e scrittore Peter Guralnick trova la descrizione perfetta
quando sentenzia su di lui: "come se John Lee Hooker si legasse all'aspra poesia
imagista di William Carlos Williams". D'altronde Gordon vanta davvero una laurea
presso la University of Iowa e la sua poesia ha trovato persino l'approvazione
letteraria che meritava, seppure circoscritta ai confini regionali, in quella
lingua di terra che si distende da Memphis verso la Lousiana. Il cuore della sua
attività resta tuttavia la musica, con una produzione parsimoniosa ma importante,
che gli conferisce il titolo di storyteller sudista.
Long Gone Time,
con la proverbiale indipendenza che è riservata a buona parte dei suoi lavori,
prosegue quel cammino fatto di immagini e ricordi dall'America nascosta e perdente,
in questo caso offrendo l'album più introverso e musicalmente parco della carriera.
Per metà acustica e per metà elettrica, questa raccolta non possiede l'appeal
immediato dei suoi dischi migliori, carbura a bassi giri e si prende tutto il
tempo per raccontare la vita dei personaggi che la popolano. È evidentemente un
album molto personale, a cominciare dalle vicende narrate in GTO,
tosto ritmo rockabilly che narra del padre di Kevin e di quando gli rubarono la
sua preziosa automobile, o nei ricordi giovanili di Letter to Shreveport,
lento mantra southern blues, e Church on Time,
altro piccante rock'n'roll memphisiano, episodi che tornano nell'amata terra della
Lousiana (Gordon è originario di Monroe) suscitando memorie e domande sulla sua
stessa esistenza. Lo sguardo di Kevin Gordon è quello del narratore e l'idea che
le sue canzoni siano racconti brevi è quasi scontata: la cantilena acustica di
Shotgun Behind The Door nasconde una tragedia
americana a suon di razzismo, la languida Goodnight Brownie Ford accompagna
la descrizione di un vecchio country singer, conosciuto realmente da Gordon, e
della sua vita tra i rodeo, mentre Crowville,
altro bozzetto country blues, è un film in bianco e nero che attraversa la povertà
e la desolasione del Vecchio Sud.
Il prezzo da pagare per questa densa
attenzione ai versi è probabilmente una musica un po' troppo adagiata e malinconica,
una sequenza che dopo la frizzante apertura con il sensuale blues elettrico di
All in The Mistery e la citata GTO, tende ad adagiarsi su atmosfere
da pigro pomeriggio sotto il portico di casa, distese di campi e l'immensità della
provincia americana davanti agli occhi (la bonus track Following A Sign(The
Preacher's Wife) e Walking on the Leeve, con la seconda chitarra di
Bo Ramsey). Nel finale però si torna a fremere, seguendo il serpeggiare swamp
di Immigrant, il passo dettato dalle chitarre
in coppia con il piano, o abbadonandosi al funky acustico di
Cajun with A K, l'equivalente di un Tom Waits perso in un juke joint
sulla strada per il Mississippi. Il produttore Joe V. Mcmahan tiene ogni nota
agganciata allo stretto necessario, asciutta come le storie che Gordon canta dalla
sua visuale di outsider.