Staggerman and the hobo's amen
Hobos and Gentlemen
[Staggerman 2018]

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File Under: folk rock noir

di Fabio Cerbone (23/03/2018)

Terzo incontro con la musica di Matteo Crema, in arte Staggerman, che compie un percorso discografico lungo quasi dieci anni, tanto è passato dall'esordio Tiny, Tiny, Tiny del 2009. Ci eravamo già segnati il suo nome sul taccuino di RootsHighway, a più riprese protagonista di un interessante produzione sia come membro dei progetti The Union Freego e Bogartz, sia, appunto, sotto lo psedonimo di Staggerman, veicolo per le sue composizioni tra reminiscenze indie rock e radici da folksinger. Hobos and Gentlemen è il primo album che lo vede condividere le note di copertina con una band vera e propria, The Hobo's Amen, sintomo di un lavoro nato dalla massima collaborazione con i musicisti, una band di sei elementi che vede spiccare il piano di Marco Monopoli, i fiati di Fabrizio Delvecchio e una sezione ritmica ormai collaudata, insieme a Lorenzo Colosio (batteria) e Salvatore Lentini (basso).

Le differenza è evidente, seppure già l'ottimo Don't Be Afraid and Trust Me, ormai risalente a sei anni fa, metteva in luce una maturazione del linguaggio di Staggerman, avvolto dai più marginali e intensi linguaggi del folk rock e del blues americano, riletti in una visione in chiaroscuro, a tratti psichedelica. Hobos and Gentleman parte da quelle fondamenta per evolvere in un rock a tinte buie e dagli accenti desertici, arrangiato spesso con l'utilizzo di una sezione fiati che sembra spostare il baricentro verso un western soul dal carattere misterioso. La matrice di Strawberry Eyed e The Leech, brani d'apertura che simboleggiano l'anima del disco, pare attingere all'esperienza dei Bad Seeds di Nick Cave, seppure in una chiave più dimessa: anche i testi affrontano luoghi oscuri e l'impressione è che vi sia una fascinazione per certo immaginario da America desolata, anche nelle trame rock più moderne di How's Things Going.

La voce di Staggerman è una cantilena delicata, che si dilata in forma di ballata con Gone Chance e affronta una sua forma di blues in Ghosts, mantenendo Hobos and Gentleman dentro i binari di un intenso rock di frontiera. Colpiscono in particolare la classicità sixties della melodia di Towards the Fence, ballata a tempo di folk rock per chitarre e tastiere, anche qui colorata con intelligenza dalla presenza dei fiati, così come l'accoppiata di acidi blues di Opposite Sides, letargica e in minore, e Rabid Dog, più incalzante e con una slide guitar in bella mostra, che ricordano l'esperienza dei misconosciuti Come di Thalia Zedek e Chris Brokaw. Il finale con The Fall sembra fare ritorno alla grande strada maestra delle roots americane, con la coralità del canto e l'asprezza della resonator guitar che evocano i migliori paesaggi dell'alternative country più malinconico e struggente.


    

 


<Credits>