inserito 23/07/2010


Francesco Piu Trio -
 Live at Amigadala Theatre  [Groove Company  2010]
 
Dr. Sunflower Jug Band -
Krotal Oil Liniment  [Cheyenne Records  2009]  


Indiscutibilmente uno dei nuovi grandi talenti della chitarra blues e non solo in Italia (ha collaborato per diverso tempo nella band di Davide Van De Sfroos), Francesco Piu ha sempre mostrato un approccio aperto, curioso e moderno allo strumento e alla storia stessa del genere. La dimensione "one man band" che solitamente lo ha visto crescere sui palchi italiani da qualche anno a questa parte è stata sostituita dalla classica formula di un trio, al fianco delle armoniche (diatonica e cromatica) del bravissimo Davide Speranza e le percussioni di Pablo Leoni, in una riedizione acustica e aggiornata delle esperienze rock degli anni settanta. Si respira aria di libertà e improvvisazione in questo Live at Amigdala Theatre, registrato lo scorso maggio nell'interessante locale di Trezzo d'Adda, da tempo impegnato in una programmazione di qualità che spazi nelle diverse anime del rock'n'roll e delle sue radici. Non fanno eccesione Francesco Piu e i suoi compagni, concentrati nel tracciare una sorta di radiografia dei gusti del giovane chitarrista sardo, non ancora autore indiependente (uno solo il brano firmato in prima persona, lo strumentale Train to Narcao) ma musicista capace di rileggere e adattare secondo l'estro funanbolico della sei corde un repertorio che passa da Robert Johnson e Sonny Boy Williamson, come dire il giusto tributo ai padri indiscussi, fino alla contemporaneità dei vari Keb Mo' (Hand It Over, Am I Wrong) ed Eric Bibb (Good Stuff), sconfinando con naturalezza nel rock (le riprese di All Along the Watchtower di Bob Dylan, in una bella versione rallentata e dal carattere soul, e Barcarolle di Tom Waits, strumentale di nove minuti che spegne le luci sullo show). La voglia di giocare con i linguaggi della black music è palese: Live at Amigdala Theatre parte certamente dal blues e dal gospel (con Don't Start Me Talking ad esempio o il traditional Motherless Child) e da una vecchia chitarra resofonica per abbracciare con acustica e weissenborn (per intenderci la particolare chitarra da suonare sulle ginocchia utlizzata anche da Ben Harper) le sfumature accese del funky, la passione del soul, rispolverando una vecchia hit r&b come Sticks and Stones (Ray Charles e Joe Cocker fra i tanti interpreti) e pescando uno dei brani più singolari del repertorio di Robert Johnson, They're Red Hot, dal passo ragtime. A "sorreggere" Francesco Piu, che nel tempo ha acquistato forza ed esperienza anche nell'espressività della voce, il citato Davide Speranza, qui niente affatto un semplice comprimario, semmai un grande arricchimento per le sfumature del repertorio, oltre che solista di valore, così come le dinamiche della ritmica di Pablo Leoni, impegnato anche alla washboard, il tipico strumento percussivo di un blues dal feeling sudista e antico. Una serata ispirata e coinvolgente: peccato non essere stati presenti. (  7.5)
(Fabio Cerbone)

www.myspace.com/francescopiu

www.francescopiu.com

Non sarebbe nostra intenzione svelarne alcuno, degli altarini sottesi ai nomignoli della Jug band di Doctor Sunflower, lui in primis a capo di questa carovana di affabulatori, ammaliatori, cantastorie e cacciaballe interpreti della più sincera delle cose spacciate insieme all'olio di crotalo, panacea di tutti i mali: la musica. Gli attori recitano bene la loro parte e ne vien fuori l'iconografia fumettistica di copertina, la sola traccia (e invero qualche altra soffiata) nei disegni firmati da Guy(do) Migliaro a ricondurci all'entourage dei Blue Stuff, che ci rimanda all'italianità del progetto e ne contestualizza la provenienza blues d'area campana (ma anche internazionale, visto che alla fine Napoli non è solo Italia). E costoro si muovono (come da copertina) nel quadro di un non quantomeno precisato Sud degli USA, quando poi ogni sud è Sud del mondo e tanto valga per la musica: il blues è blues e non c'è provenienza che ne certifichi la qualità, quanto piuttosto, la integra a veicolarne il contesto. Dato che il blues qui proposto allora è roba degli anni Venti (e Trenta), diventa pur difficile, se non confermarne la provenienza spaziale, accertarne il vissuto temporale: i protagonisti di quegli anni si diradano via via col tempo e a chi proponga tali classici non resta altro che coglierne le atmosfere giuste, mediarle e riproporle a loro volta ai posteri, come fanno qui gli allegri compagnoni dell'olio di crotalo. Col Dottore, in questo "medicine show" imbastito per l'occasione, ritroviamo a tratteggiare i frequenti ragtimes, barrelhouses e delta blues, la chitarra e il mandolino di Mojo Killer e la resofonica di un certo Wolframio, definite e presenti, quanto ben equilibrate e mai invadenti. Inutile dire che accorgimenti artigianali e ritmico - rumoristici riempiono non poco il contorno dei brani, tra jug, kazoo o washboard del capo banda, cui si aggiungono una fantastica fisarmonica di Red Buzzard e un'orchestra da barbecue che pare a festa nel suono dal vivo di Lindberg Hop (Will Shade), apripista dall'International Blues Fest di Capo d'Orlando in Blues 2007. Il resto sono pezzi in studio che ripescano per l'occasione in remoti canzonieri popolari americani, passando dai più noti Jimmie Rodgers (Mississippi Delta Blues; Train Whistle Blues) o Robert Johnson (From Four Till Late) fino alla bella Border of The Quarter di Owen Davis evocante vaudeville years in New Orleans, Broke Man's Blues di Thom Dorsey o il trascinante gospel Night Train To Memphis. Non potevano essere altro che due tracce encore live a chiuderne le danze (da S. Potito Sannitico Blues Got The World e In a Town This Size) per un revival di certa musica oggi forse un po' abusato, ma in un disco che, seppur di genere, è certamente ben fatto. (  7.5)
(Matteo Fratti)

www.bluestuff.it

 

 


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