Evasio Muraro
Scontro tempo
[Dischi VoloLibero/ Self  2013]

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File Under: musica d'autore

di Yuri Susanna (03/06/2013)


Tempo d'attesa (Venti volte) e tempo d'oblio (Il mondo dimentica). Tempo passato (Il maestro e la sua chitarra) e tempo futuro (Un grido). E ancora, tempo per ritrovarsi (Lettera da spedire prima o poi) e tempo per perdersi (Giorni). C'è un tempo per ogni cosa: un'ammonizione che dal libro di Qoelet (quello che ispirò Pete Seeger per Turn Turn Turn) ritroviamo nelle liriche dell'ultima fatica di Evasio Muraro, in particolare nei versi della canzone che intitola l'album, dove si riannodano i fili della riflessione sul tempo sparsi negli altri 9 brani. Ma c'è anche un'ulteriore idea portante, quella del tempo circolare che ritorna su se stesso: la intravediamo in un altro brano-chiave del disco, Infinito viaggio, dove, come in una celebre poesia di Irving Layton (There were no signs), l'inizio arriva a coincidere con la fine. Canzoni sul tempo e nel tempo, dunque: non per contraddire la scelta del bel titolo che marchia l'album, ma queste canzoni sembrano nascere non da uno scontro, ma da un incontro.

Con il proprio presente, soprattutto. Emerge lo sguardo di un uomo (un artista) pacificato, che osserva lo sgranarsi delle stagioni grato per i doni che il tempo porta, piuttosto che con il rammarico per ciò che toglie. Le liriche risultano di una grana meno astratta, pur conservando le tinte impressionistiche tipiche del suo stile, fino a sfiorare il ritratto a tutto tondo de Il maestro e la sua chitarra. Questa nitidezza di visione pervade in qualche modo anche la musica. Scontro tempo è un disco dalle dinamiche sonore complesse, certo pensato per essere ascoltato con attenzione, ma che scorre con grazia. La produzione, nelle mani di Chris Eckman dei Walkabouts, coagula gli strumenti in impasti densi e carichi di suggestione, in cui anche i silenzi vibrano, pregni di senso quanto le note. A noi ha ricordato l'intensità che scoprivamo anni fa in certe produzioni di Daniel Lanois o di Malcolm Burn. Merito certo della qualità intrinseca delle canzoni (tutte originali, stavolta) ma, più ancora che nel precedente O tutto o l'amore, qua gli arrangiamenti e la tessitura sonora sono parte integrante del valore finale.

La coesione della nuova band - Cesare Bernasconi alla batteria, Cucu al basso e un chitarrista elettrico con una passione smodata per le camice a quadri - è contornata dalle voci dei Gobar, dal piano dello stesso Eckman e, soprattutto, dagli interventi al sax baritono di Lorenzo Rota - un tocco il suo che aiuta a spostare il baricentro della musica di Evasio da una matrice in qualche modo da cantautorato anni '70 (l'impostazione della voce, in particolare) verso certo alternative rock anni '90 (Giorni e Contiene il cielo virano verso il Morphine-sound, Infinito viaggio ha una coda quasi grunge) e verso un suono notturno, lasciato a fermentare nel jazz, in certa psichedelia desertica, nelle armonie westcoastiane (Il mondo dimentica), nel crogiolo di New Orleans (Puzzo di fame). Completano il quadro il cameo di Gianni Del Savio, la co-produzione del vecchio compagno di viaggio Michele Anelli, e una confezione riccamente curata, con un booklet in cui Marco Denti racconta la favola di un lattoniere che si scopre "prigioniero del tempo". Un'opera collettiva, in un certo senso. A supporto della visione sempre più lucida di un artista (un uomo) da tenerci stretto.



   

 


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