Herself
Rigel Playground
[Urtovox/Audioglobe 2018]


File Under: Slow-Folk passion

urtovox.com

di Nicola Gervasini

Il palermitano Gioele Valenti può essere considerato un veterano della cosiddetta scena neo-psichedelica (all'attivo esperienze con band come JuJu, Josefin Ohrn, Lay Llamas), ma ora con il nickname di Herself prova la carta solista con l'album Rigel Playground. Un disco molto interessante, realizzato in totale solitudine da polistrumentista, ma con un suono reso pieno dagli intrecci di tastiere e chitarre. Si parte con la voce quasi strozzata dell'iniziale Another Christian (pare quasi un J Mascis sotto effetto di sedativi), per proseguire con la splendida Bark, folk-song lisergica dove riescono probabilmente ad incontrarsi Pink Floyd, Elliott Smith, Sparklehorse e Bon Iver in un colpo solo. L'autunnale Crawling spinge più sui toni oscuri, mentre In The Wood trova una melodia da vero indie-folker alla Iron &Wine prima maniera. Il brano forte dell'album è il singolo The Beast Of Love, sia perché vede la collaborazione di Jonathan Donahue, cantante dei Mercury Rev (di cui Herself è stato artista-spalla nel recente tour), sia perché riesce a ipnotizzare l'ascoltatore per quasi sette minuti, meglio se vissuti guardando il video che cerca la Palermo più dark. Chiudono il giro blues di The Witness, ottimo intermezzo di energia, e il pessimismo folk di Treats ("When everything is clear, I see black"), marchio di fabbrica di un autore che ama i toni dimessi (se non proprio depressi) soprattutto nei testi, ma dimostra con questo album di avere in studio una statura da scena internazionale. E in questo caso la durata di 33 minuti permette di concentrarsi al meglio su sette brani che ci sentiamo di consigliare.


 


Nero Kane
Love In A Dying World
[American Primitive 2018]


File Under: Desert Folk Experiencer

fuzzclub.shop

di Nicola Gervasini

La giungla di produzioni indie italiana è ormai fittissima e non sempre offre qualcosa di veramente originale, per questo siamo contenti quando incontriamo un progetto come quello di Nero Kane (Marco Mezzadri all'anagrafe), musicalmente forse ostico per molti nostri lettori, ma decisamente in linea con quello che è l'immaginario che da sempre muove la nostra webzine. Love In A Dying World nasce come disco, ma diventa anche un cortometraggio (realizzato da Samantha Stella, artista visiva e performer/danzatrice/tastierista che lo accompagna anche nei live) che segue Kane in un pellegrinaggio nel deserto americano. Una sorta di viaggio lisergico nel profondo dell'America con visioni alla Wim Wenders, che Kane commenta con una serie di brani realizzati a Los Angeles con la produzione di Joe Cardamone (era il leader degli Icarus Line), e caratterizzati da un suono molto evocativo per sole chitarre e tastiere, che miscela folk e blues con sapori psichedelici in cui si ritrovano sia echi di West Coast (Desert Soul) che di New York e Velvet Underground (Black Crows). Ma soprattutto tanto di David Eugene Edwards (16 Horsepower e Woven Hand) in How The Day Is Over o di Mark Kozelek (Dream Dream), il tutto condito da ottima cura nei suoni (la chitarra di Beacause I Knew When My Life Is Good fa vibrare le casse e l'anima). La mancanza di ritmo e percussioni rende l'ascolto forse un po' straniante, ma è evidente che l'album è da considerarsi non slegato dalle immagini che lo accompagnano. Il film è visibile integralmente a partire da febbraio sul sito www.artribune.com.


   


Ferro Solo
Almost Mine: The unexpected rise and sudden demise of Fernando (PT.1)
[Riff Records/Fernando Dischi 2018]


File Under: Guitars are not dead

riffrecords.bandcamp.com

di Nicola Gervasini

I Cut sono stati una piccola istituzione del garage-rock bolognese per oltre vent'anni, ed erano capitanati da Ferruccio Quercetti, chitarrista che ha ora deciso il passo solista con il nickname di Ferro Solo. E Almost Mine: The unexpected rise and sudden demise of Fernando (PT.1) fa capire fin dal titolo che l'intenzione è quella di continuare su questa strada, con un disco in cui Quercetti condensa il proprio background musicale al servizio di un concept-album che segue le vicende del suo alter-ego Fernando. Chitarre in grande evidenza e rimandi a tutto ciò che abbiamo sentito nel mondo roots/garage negli anni 80 e 90, fin dalla partenza di It's a Girl, che non può non ricordare i Social Distortion, o il dark-blues elettronico alla Mark Lanegan di Got Me A Job (produce qui Luca Giovanardi dei Julie's Haircut). E ancora i giri di chitarre sixties di Hamlette, le ballate alla Green On Red di You Don't Have to Tell Your Story e This Daddy's Girl, ispirate piano-songs (Perfect Stranger e Gala), e l'hard rock FM di He Spies (con la band romana dei Giuda). Nel disco si respira una forte aria di rock antico, con produzione accorta ma volutamente sporca, e l'aiuto di una serie di musicisti di valore dell'underground italiano (dal mondo Julie's Haircut provengono anche Andrea Rovacchi e Ulisse Tramalloni, mentre Sergio Carlini - Three Second Kiss - e Riccardo Frabetti - Chow - completano la backing band dei Fernandos). Disco che andrebbe distribuito nelle scuole per invogliare i ragazzini a provarci ancora con quello strano oggetto che i vecchi chiamano chitarra.


 


Jennifer V Blossom
Hunting Days
[Jennifer V Blossom, 2018]


File Under: Punk-folk revisited

jenvblossom.com

di Nicola Gervasini

Quello della "Riot Grrrl" è uno stereotipo rock che ha ormai circa 30 anni, ma sembra non conoscere crisi. Nei primi anni 90, dopo che artiste come Michelle Shocked, Tracy Chapman e Suzanne Vega avevano aperto la strada ad una via folk del rock al femminile, arrivarono Ani Di Franco, Brenda Kahn e altre a renderlo una vera e propria dichiarazione di guerra a suon di chitarra acustica che non smette di avere adepte (penso a Wallis Bird, ad esempio). E a quella tradizione appartiene sicuramente la casertana Jennifer V Blossom, per anni promotrice della band dei The Over the Edge, e da tre anni impegnata in una carriera solista che approda finalmente al primo disco. Hunting Days è un progetto interessante che tenta di conciliare quello che è il combat-folk di brani come 3 AM e Scent Of Flower con una ricerca e modernizzazione della canzone italiana storica, qui evidenziata nell'autografa e decisamente teatrale Come Se Nessuno Mai e in una cover dark-folk di Nel Blu Dipinto di Blu (dal vivo esegue spesso anche Parlami d'Amore Mariù per dire). Il che rende Hunting Days un disco davvero eterogeneo, sebbene sempre caratterizzato dal suono scarno della sua acustica. Non mancano comunque i momenti riflessivi (As Two Lovers e la stessa title-track), e espisodi più rock full-band (A Bit Like Going Back). Particolare impressione fa il tono melodrammatico di Hard Stuff e il teso finale di From My Lips, mentre sempre al suo amore per la canzone classica si riferisce la resa di Non, Je Regrette Rien della divina Edith Piaf. Da seguire anche per il futuro.


 

 


<Credits>