Barrence Whitfield and The Savages
Dig Thy Savage Soul
[Bloodshot  2013]

www.barrencewhitfield.com


File Under: savage soul

di Nicola Gervasini (23/09/2013)

L'ironia della sorte è che il suo vero nome sarebbe il ben più noto Barry White, ma quando nel 1984 riuscì finalmente ad esordire, il suo battesimo apparteneva già ad un leone della disco music in piena decadenza. Scelse allora quello forse meno altisonante ma molto più autorevole di Whitfield, lo stesso del Norman che per anni ha scritto e prodotto i capolavori dei Temptations. Barrence Whitfield con i suoi Savages è stato per un decennio (a cavallo tra gli anni ottanta e novanta) un misconosciuto e forse fuori tempo antesignano di una black music imbastardita di garage rock e umori bianchi.

Attento ad ascoltare musica rurale bianca molto prima del suo maestro Solomon Burke (ricordiamo anche i due dischi a quattro mani con Tom Russell del 1993, Cowboy Mambo e Hillbilly Voodoo), padre non riconosciuto in quanto irriconoscibile di quello stile che oggi Black Joe Lewis riesce a vendere (bene) come una novità, Whitfield dopo più di quindici anni di silenzio e sudate su palchi di provincia, ha da qualche tempo "riunito la band", e già nel 2011 ci aveva fatto muovere non poco il fondoschiena con lo scoppiettante Savage Kings. Dig Thy Savage Soul si spinge oltre e tiene fede al titolo: la chitarra del fedele compare Peter Greenberg spadroneggia fin dalle sventagliate punk dell'iniziale The Corner Man, più o meno quello che avrebbero combinato i Replacements visitando gli studi della Stax. Ma già la successiva My Baby Didn't Come Home rivela quale sarà il gioco: Barrence urla, sbraita, gorgheggia brani di scrittura elementare che spaziano da giri blues risaputi (Hangman's Token, Turn Your Dumper Down) a rockabilly catapultati in quest'era da una macchina del tempo tarata su cinquant'anni orsono (Hey Little Girl, Blackjack). Il trucco però è proprio quello: far passare per rivoluzionario il reazionario, citando magari i dischi incendiari del R.L.Burnside di quindici anni fa, ma andando molto meno sul sottile nella scelta del repertorio e dei temi.

In questo senso sia un brano rock (Oscar Levant, Bread) o una ballata soul (I'm Sad About It, Show Me baby), il tutto serve solo per liberare l'incredibile energia del padrone di casa ed esaltare la voluta gran confusione della sezione ritmica di Phil Lenker e Andy Jody. Condisce il tutto il sax di Tom Quartulli, che più che il sound della Motown sembra quasi giocare a citare lo Steve MacKay che devastò Funhouse degli Stooges, vera opera di riferimento dei Savages. Il risultato gli dà comunque ragione: forse non c'è la stessa sostanza dell'ultimo Black Joe Lewis, ma in una gara a colpi di decibel il vecchio Barrence saprebbe ancora dargli filo da torcere. Dig Thy Savage Soul vi aprirà l'anima a colpi di sberle. Il blues pare serva anche a questo.


    


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