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Yates McKendree
Buchanan Lane
[Qualified Records 2022]

Sulla rete: qualifiedrecords.com

File Under: discepoli blues


di Roberto Giuli (19/11/2022)

Dalle note. “Si immagini un juke joint lassù, dove BB, Albert, Freddie, T-Bone e tutti gli altri, suonano e si intrattengono in lunghe jam; uno dei fratelli Chess avverte ‘hey voi laggiù, occhio a quel ragazzino del Tennessee, ha fatto man bassa di tutti quei licks e li ha impacchettati in una cosa tutta sua!” Ironia e pizzico di retorica; ma in buona sostanza dev’essere così. Yates McKendree ha sicuramente “fatto man bassa” di tutto quello che, parlando di blues in particolare, va dall’estremo nord all’opposto sud, passando per Nashville e per Buchanan Lane, titolo del disco di debutto, nonché della strada di casa; e si sa che, da Abbey a McLemore, la cosa può portare fortuna.

Ce lo auguriamo; quell’incetta ha contribuito a formare un musicista in grado di delineare le sue personali coordinate stilistiche, un eccellente polistrumentista (chitarra come arma ufficiale) dotato di una voce matura, ancorché intrisa di una naturale freschezza; d’altra parte, saper rimodellare le ispirazioni è un’arte. Nonostante l’età (ventuno anni al momento della recensione), Yates porta già il suo consistente fardello; una frequentazione dei palchi da quando era poco più che decenne, oltre a collaborazioni altisonanti, è il caso di John Hiatt e di The Eclipse Sessions (“Yates è il nostro asso nella manica”) o del Delbert McClinton di Tall Dark And Handsome (2019). Oltre a ciò, il riferimento costituito dal padre, Kevin, ottimo pianista che ritroviamo in tanti dischi blues di recente generazione (Mike Henderson, Tom Principato, Brian Setter etc.). Il quale genitore dà volentieri una mano al figlio, dividendo con lui piano e organo, praticamente in tutto il disco, a partire dall’opener Out Crowd, notevole principio di soul jazz, evidente omaggio al fu Ramsey Lewis (hit nel 1965 per Dobie Gray); il brano dà immediatamente conto del talento del giovane protagonista, grazie all’eccellente prestazione al piano.

E così via per tutto Buchanan Lane, il quale si compone di tredici tracce suonate egregiamente, tra qualche originale di buon livello come Wise, buon blues in minore che rimanda a BB King (del re viene ripresa in questa sede Ruby Lee, gioiello dell’era Modern, 1956) o No Justice (lento dal tipico incipit alla T-Bone Walker) e diverse cover scelte con cura. A partire proprio da T-bBone, del chitarrista texano vengono proposte Papa Ain’t Salty, trascinante ancorché canonica, basata su un robusto riff di piano e No Reason, blues per piccolo combo e da ore piccole, un po’ come la “self-penned” Wine, Wine, Wine (nessuna relazione con Floyd Dixon, né con i Nightcaps). La provvidenziale “man bassa” cui facevamo riferimento all’inizio, permette a Yates di muoversi verso brani più particolari come Brand New Neighborhood, oscuro r&b dal repertorio dell’altrettanto misconosciuto Fletcher Smith, bel proto rock’n’roll fortificato dai fiati o It Hurts To Love Somebody di Guitar Slim, che consente al nostro di mostrarsi per intero in veste di chitarrista; il grazie stavolta è per la dinastia dei King.

Oppure di prodursi in quello che è uno dei migliori pezzi del disco, Qualified, dal libro mastro di Dr. John (In The Right Place, 1973), pregevole rilettura con tutti i patterns targati New Orleans al posto giusto, in un elegante tripudio di piano, voce, fiati e sezione ritmica (Steve Mackey al basso, Big Joe Maher per lo più alla batteria; per i fiati vedi info). Più che degna la conclusione, sulle note di Voodoo Funky, in stile Meters, condotta dall’organo di Kevin e con Kenneth Blevins alla batteria (John Hiatt). Un altro salto nella crescent city? Si…ma prima di cena. Impeccabile!


    


<Credits>