Strano
caso quello di Rod Picott, oggi tra i più credibili cantori della depressione
americana, di un'economia in ribasso che si riflette sulle vite quotidiane della
gente comune, ma in verità originario del Maine e da qualche anno in cerca di
migliori fortune a Nashville. Verrebbe invece da pensare ad un tipico caso di
songwriter del Midwest, con quei suoi orizzonti in disfacimento raccontati con
tale inquietudine da Philipp Meyer in Ruggine Americana (Einaudi, 2010).
Ma l'America è grande, la strada sempre disponibile: basta viaggiare, possedere
un'anima da hobo, avere magari un passato di duro e serio lavoro manuale e allora
le parole escono sincere a qualsiasi latitudine. Picott non è un nome nuovo per
queste pagine: la sua carriera in ombra sulla scena country d'autore, le amicizie
con Slaid Cleaves e Fred Eaglesmith, la collaborazione con la violinista Amada
Shires (nel disco Sew Your Heart With Wires) hanno tracciato un percorso
coerente, che lo mette in comunicazione diretta con John Prine, Tom T Hall, lo
Springsteen più acustico e "imbronciato", in generale con i narratori di una terra
americana nascosta alla vista. Welding Burns, quinto episodio in
rigorosa indipendenza, non fa che accentuare questa dimensione del piccolo racconto,
evidenziando il talento per ballate asciutte, tre accordi e la verità come si
diceva un tempo.
È il lavoro migliore della sua carriera, equilibrato
nel suo folk rock dai toni bruschi e agresti, con qualche scatto elettrico ma
nell'insieme incentrato soprattutto sulla rappresentazione delle parole. Il linguaggio
musicale di Welding Burns apparirà invece essenziale, genuino come richiede questa
tradizione di storyteller di razza. Rust Belt Fields
non è posta a caso in apertura: il lavoro prende altre strade, vola in Messico
e Cina, le fabbriche chiudono e la geografia umana dei luoghi cambia per sempre
pelle. Anche la title track, più cadenzata e robusta nell'incedere, ruota intorno
a questo immaginario da crisi economica, legandosi alla ruvida ambientazione bluesy
di 410, storia di una deriva personale di
un disoccupato, e infine alle tonalità hillbilly di Sheetrock
Hanger, segnata dal fiddle di Amanda Shires. La presenza di quest'ultima
si accompagna ad altri musicisti che da qualche stagione collaborano con Picott,
tra cui David Henry, Paul Griffith e Paul Slivka, formando una sorta di team produttivo
che garantisce al principale protagonista un terreno familiare su cui giostrare
le sue composizioni.
E così realmente avviene anche nei momenti più raccolti
e acustici di Welding Burns: Black T-Shirt
e Little Scar, la romantica Jealous
Heart, sussurrate su un leggero picking di chitarra, una steel in lontananza,
osservanti di un modello di folk song che non morirà mai. Nel finale il clima
malinconico che percorre fatalmente l'intero disco trova la chiave per una luminosa
ballata a due voci con Amanda Shires: Still I Want You
Bad abita il lato più intimista dell'autore e apre ad una significativa
speranza, la stessa che sembra accendere il terso folk rock di When
My Running Is Through. La semplicità ogni tanto paga ancora: bastano
buone canzoni e Rod Picott le possiede tutte. (Fabio Cerbone) www.rodpicott.com