inserito 23/03/2010

Daniel Martin Moore
In the Cool of the Day
[
Sub Pop  2011
]



Se si dice gospel, i più pensano a una liturgia corale in qualche chiesa di Harlem: predicatori dalle lunghe tuniche, coreografici call & response. Ma non andrebbe dimenticato che esiste una lunga tradizione di musica religiosa anche nel folk bianco rurale, un retaggio che si è incrociato più volte con i percorsi del country urbano (anche prima di I Saw the Light di "papà" Hank) e che in alcune realtà rappresenta ancora oggi un importante background di identità comunitaria. Così quando Daniel Martin Moore, nato e cresciuto nel Kentucky profondo, ha poggiato le dita sui tasti di un vecchio piano Steinway nello studio di una radio di Cincinnati, l'effetto è stato quello di un proustiano "assaggio di madeleine". Alla ricerca del tempo perduto della sua infanzia, delle canzoni che la madre cantava quand'era bambino o sentite intonare durante il culto domenicale, ha dato forma all'idea di rileggere alcuni spiritual della tradizione, sia bianca (Dark Road, dei menestrelli itineranti Grayson e Whittier, la title-track, recuperata dal repertorio della regina della mountain music Jean Ritchie), sia nera (Up Above My Head, hit del 1948 di Sister Rosetta Tharpe), sia di entrambe (l'inno metodista In the Garden).

Interpretazioni allestite senza rigore filologico, ma solo seguendo il filo della memoria, tentando di allacciarlo a una ricerca di spiritualità che, invece, appare esigenza presente e non nostalgica. Moore si è preso ampie libertà, spostando, aggiungendo e sottraendo versi alle liriche originali e arrangiando le composizioni in uno stile più intimo che corale, vicino all'estetica dimessa del folk contemporaneo, cercando però di lasciare intatta la carica comunicativa essenzialmente gioiosa e positiva (Dio è amore, no?). C'è anche riuscito, merito di una voce che gioca con le sfumature e di una tavolozza di suoni che, privilegiando i colori primari, li mescola con gusto e si concede qualche gradazione imprevista (i toni da piccolo combo jazz che affiorano qua e là). Lo aiutano il percussionista e polistrumentista Daniel Joseph Dorff e il fratello Earl D. Moore al piano, più altri, tra cui riconosciamo il banjo di Jim James dei My Morning Jacket.

Per allungare il brodo e arrivare a una durata da vecchio LP, intorno alla mezz'ora di musica, Moore ha anche aggiunto quattro composizioni originali, di ispirazione affine. E che, a onor del vero, non sfigurano nell'insieme (con una predilezione per Set Things Alright). Un po' alla volta cominciamo a capire cosa abbiano visto i tipi della Sub Pop in questo folksinger sbucato fuori dal grande nulla della provincia americana. Il primo disco (Stray Age) non si distingueva dalla pletora di produzioni similari, ma già il successivo, del 2010, registrato in coppia con il violoncellista Ben Sollee (altro nome da tenere d'occhio, presente anche in questo progetto), seduceva per la libera semplicità con cui elaborava i linguaggi del folk e del bluegrass. In the Cool of the Day, pur nella natura sui generis, non possiamo che accoglierlo come una nuova, gradita conferma di un talento in fieri. Amen.
(Yuri Susanna)

www.danielmartinmoore.com/

 

   


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