Scott
Matthew Gallantry's Favorite Son
[Glitterhouse
2011]
Va presentato con un minimo di storia Scott Matthew, visto che è la
prima volta che ci occupiamo di lui. Australiano trapiantato a New York, Scott
ha esordito a livello professionale nel 2005 con una band chiamata Elva Snow,
una creatura indie pensata insieme al fidato batterista di Morrissey Specer Corbin,
con il quale gira ancora spesso in tour. L'avventura è durata poco visti gli scarsi
consensi, e così alla fine del 2007 Scott ci ha provato con un esordio solista
omonimo che fece già più rumore nel mondo del folk indipendente, a cui ha fatto
seguito la conferma di There Is An Ocean That Divides (2009). Gallantry's
Favorite Son arriva dunque a battere il chiodo finché è caldo, confermando
Matthew come un piccolo maestro nell'arte della vocalità evocativa, un po' come
sentire un disco di Antony & The Johnsons intenti a registrare cover di Bonnie
Prince Billy. Quello che sicuramente si nota, fin dalla sciccosa copertina patinata,
è l'attenzione certosina ai particolari sia in fase di registrazione (dal punto
di vista della qualità sonora l'album è da applausi), sia nella confezione.
Matthew
ama estetizzare con la voce, usata come strumento principale di una impalcatura
per il resto fintamente scarna, dove le chitarre acustiche o il suo fido ukulele
ben si intersecano con archi e tastiere. Il cd parte toccando le corde più oscure
con la soffocante accoppiata Black Bird/True
Sting ("non voglio imparare a volare se questo significa dirti addio"
recita l'uccello della prima, "potrei raccontarti la storia di una tregua che
è fallita, ma invece ti racconterò una bugia" pungola l'inizio della seconda),
ma già la fischiettante Felicity prova a dare
una nuova venatura frivola e scanzonata, operazione ritentata anche con la bella
Devil's Only Child, episodi che alleggeriscono
il peso di un album che va davvero ascoltato in momenti di particolare silenzio
e raccoglimento. Anche perché il lavoro in sede di arrangiamento appare davvero
notevole e per nulla facile da cogliere, se non con adeguato impianto stereo,
grazie al gran lavoro del produttore Mike Skinner, abile soprattutto a
giocare con le voci e i cori di sottofondo (davvero divertente il finale quasi
doo-wop di No Place Called Hell).
Ben
calibrato tra brani tristi e uggiosi ed episodi quasi vicini al pop alla Burt
Bacharach (ascoltate The Wonder Of Falling In Love,
ve la potreste tranquillamente immaginare anche cantata da Dionne Warwick), Gallantry's
Favorite Son è un album che si compiace forse troppo del suono profondo della
voce del suo autore, con un mood che ricorda molto quello delle prime prove soliste
di Mark Eitzel. Nel menu manca forse qualche divagazione sul tema in più, ma se
siete dell'umore giusto, è un disco capace di farsi amare. (Nicola Gervasini)