Nicole
Atkins Mondo Amore
[Razor
& Tie/ Proper 2011]
Non sappiamo quanti se ne rammentino, ma Nicole Atkins quattro anni
fa ha spedito una cartolina da Neptune City, amena località costiera a uno sputo
da Asbury Park, in cui confessava il suo amore per il pop orchestrale d'antan
(ah, i bei tempi del Brill Building, ha sospirato allora qualche recensore), i
girl group di Phil Spector e i melodrammi di Roy Orbison. Senza nascondere un
penchant per la surreale America di provincia di David Lynch. Applausi generali,
apparizioni al David Letterman Show, uno spot per la American Express. Poi, la
strada verso la gloria si è fatta impervia, qualcosa si è messo di traverso. Nel
2009 venivano annunciati i preparativi per un nuovo disco ma l'improvvisa rescissione
del contratto con la Columbia ne ha procrastinato la realizzazione di molti mesi.
Mondo Amore, prodotto da Phil Palazzolo (tecnico del suono di New
Pornographers e Okkervil River), vede la luce per una label indipendente - seppure
distribuita dalla Sony (Proper in Europa), come la Razor & Tie - con un nuovo
mood e una nuova backing band, i Black Sea.
L'aria si è fatta decisamente
noir, partendo dalle liriche - il disco inizia con i segnali di morte di Vultures,
che descrive "avvoltoi che arrivano in cerchio, pesanti come pietra, e si prendono
tutto ciò che riescono, finché di te non restano che sporcizia e ossa". Anche
la musica è cambiata, ha introiettato umori rock-blues (My
Baby Don't Lie, distorta e sensuale), accenti psichedelici (un po'
dappertutto: ascoltate This is for Love, ovvero
i Jefferson Airplane aggiornati al nuovo secolo) e dark (You
Come to Me suona quasi come un omaggio a Siouxsie Sioux). Una propensione
genericamente più rock (per il roll, invece, c'è ancora da aspettare), che suonerà
nuova a chi ha in testa le orchestrazioni da musical di Broadway del disco precedente.
La novità più evidente è nel ruolo della chitarra elettrica, strumento da cui
molte delle nuove canzoni si fanno volentieri condurre per mano. C'è l'impronta
di Robert Harrison, ex-frontman dei Cotton Mather, band di culto del power
pop dei '90, qui co-autore di parte delle musiche.
Non è un'inversione
di 180 gradi, comunque: alcuni episodi mostrano ancora una forte traccia "cinematografica"
(Hotel Plaster, il duetto con Jim James in
War is Hell, il climax della conclusiva The
Tower) e gli arrangiamenti orchestrali, pur se asciugati, meno pervasivi,
sono sempre presenti. Spuntano anche nuove tentazioni sixties-pop, come nel passo
Motown di Cry Cry Cry e nelle atmosfere western
(Lee Hazlewood docet) di You Were the Devil.
In generale, la musica conserva una sua natura stratificata, anche se meno sofisticata.
A prima vista meno ambizioso, più diretto e viscerale, non di meno quest'album
allarga le prospettive della Atkins, aprendo le porte di un mondo (d'amore? di
fatto le canzoni ne lamentano soprattutto la mancanza, o il tradimento...) in
cui Stevie Nicks e Grace Slick convivono con Nancy Sinatra e, forse, anche Patti
Smith. Mentre tutti festeggiano il ritorno di PJ Harvey, sarebbe un peccato se
nessuno si accorgesse di questa rinnovata rockeuse con lo sguardo da gatta e l'ugola
da tigre. (Yuri Susanna)