Rich
Hopkins & The Luminarios
El Otro Lado/The Other Side
[Blue
Rose 2010]
Rich Hopkins rispolvera la fortunata sigla dei Luminarios,
accantonando per un momento il team artistico (e sentimentale) con Lisa Novak,
lo stesso che aveva dato vita al recente e poco fortunato Loveland.
Di fatto la Novak è entrata in pianta stabile anche nei qui presenti Luminarios,
condividendo la produzione e firmando alcuni episodi del nuovo album (voce solista
in occasione di Lou Reed - omaggio voluto?
- sempre presente in fase di arrangiamento vocale nei restanti brani), registrato
nello studio casalingo in Arizona. Sono ancora della partita Ken Andree e Bruce
Halper, sezione ritmica che segue fedelmente Hopkins sin dai tempi dei Sand Rubies
e Sidewinders, piccole leggende locali della scena roots rock del South West,
ai quali si aggiungono questa volta i camei dai colori mexican di Javier Gamez
(tromba) più una piccola serie di ospiti che fra violoncello, violino, slide guitar
provano a spostare inutilmente il baricentro dei Luminarios.
La rock'n'roll
band con cui il musicista di Tucson si è distinto lungo gli ultimi quindici anni
di carriera continua infatti il suo percorso ostinato (e assai ripetitivo) nella
direzione di quell'inconfondibile sound desertico, ricco di feedback degni del
miglior Neil Young, cristalline chitarre dai riverberi psichedelici e naturalmente
una buona dose di omaggi ai Byrds (Love is a Muse
e U R Not Alone specialmente) e alla loro
rilettura in chiave garage o post punk. D'altronde Hopkins arriva dalla scuola
che fu del Paisley Underground e con personaggi come Steve Wynn e Dan Stuart non
condivide solamente i luoghi aridi dell'Arizona ma una vera e propria ossessione
per quelle ballate rock di frontiera, che qui prendono forma nelle cavalcate di
Breathe In/Out e El
Otro Lado Suite. Quest'ultima in particolar modo sembra occupare il
naturale perno del disco, offrendo il titolo e la chiave per leggere il nuovo
sforzo dei Luminarios nella dimensione battagliera e di denuncia, recuperata anche
nel finale di Land of Broken Dreams, ma soprattutto
in Guajira, dedicata alla controversa figura
del dittatore Fulgenzio Batista e aperta dalla voce diretta di Fidel Castro, colto
durante un suo famoso comizio.
Al centro dunque storie di immigrazione
(e disperazione) lungo il border, territorio di umanità perennemente in contrasto,
fra mondo ricco e povertà dilagante che evidentemente Hopkins può toccare con
mano vivendoci a stretto contatto (è notizia di questi mesi la dura stretta contro
l'immigrazione irregolare compiuta dal governo dell'Arizona). Di contro appaiono
canzoni con un tratto più personale (Better days,
Good Intentions) che sembrano però far perdere
parecchio carattere al disco, d'altronde afflitto da quella staticità che ormai
è un segno distintivo di Hopkins: pochi versi a descrivere una sensazione, la
chitarra che si vibra subito in strali elettrici ripetendo all'infinito la lezione
di Like a Hurricane, un rock dai grandi orizzonti ed epico ma a lungo andare fermo
ad uno schema troppo prevedibile. Avessimo scoperto per la prima volta il suono
aperto e "spaziale" dei Luminarios avremmo anche concesso qualche punto in più
al disco, ma il passato conta e l'ennesima rimasticatura non inganna più.
(Fabio Cerbone)