inserito 14/06/2010

John Grant
Queen of Denmark
[Bella Union
 2010
]



Storia travagliata e a maggior ragione affascinante quella di John Grant, definita una delle voci più intense della scena indie rock attuale, eppre assai poco frequentato al di fuori di una ristretta cerchia di estimatori. Fra questi ultimi senza dubbio Robin Guthrie e la sua Bella Union, che fin dai tempi dei Czars, band formatasi a Denver intorno al songwriting di Grant, ha sprecato lodi e molta fiducia per un progetto fra sognante indie pop e radici folk mai realmente impostosi presso pubblico e critica. Gli innamoramenti tardivi sono spesso sintomo di risarcimento, se non di malcelata vergogna, forse per l'indifferenza mostrata in passato e così su Queen of Denmark sono letteralmete piovute le esaltazioni collettive di una critica (inglese in primo luogo) che non ha esitato ad imprimere sull'album il marchio del capolavoro. Mojo a guidare le fila del gruppo, la collaborazione di John Grant con i texani Midlake ha aperto una breccia, facendo affiorare un rinnovato interesse per quel cantautorato pop elegante e mellifluo che ha le sue radici nella prima metà dei seventies.

La vocalità adamantina e profonda di Grant ha gioco facile in questa sottile rievocazione, mentre la veste sonora dei Midlake sembra essere l'ideale spalla per costruire ballate sontuose, con stratificazioni che passano dal folk rock di matrice inglese ad una certa magnificenza pop figlia dei Beatles, di Todd Rundgren, persino di alcuni "eccessi" alla ELO. Dopo avere spezzato la carriera precedente con i Czars ci sono volute alcune stagioni di ripensamento ed un trasloco a New York perché John Grant riprendesse i fili della sua ispirazione: qualche collaborazione con Flaming Lips e soprattutto con gli onnipresenti Midlake ha condotto a questa fortunata condivisione. Negli studi texani l'intesa con questi ultimi è confluita in alcune suite lussuose che nel trittico iniziale di TC and Honeybear (spunti progressive e una voce soprano ad affiancare Grant), I Wanna Go to Marz (piano dolcissimo a scandire la melodia, ricorda non poco la maestosità dei recenti Shearwater) e della malinconica Where Dreams Go to Die (lo spleen di Mark Eitzel?).

In un gioco di equilibri che sta bene attento a non scadere nel pericoloso crinale del kitsch, Queen of Denmark vive dei conflitti fra l'armonia pacifica dell'interpretazione di Grant e i testi spesso anche aspri e carichi di tensione e disagio (la copertina ne amplifica l'effetto), alternando mondi vagamente onirici e questioni più materiali che coinvolgono la personalità e il sesso. Da qui forse l'esigenza di spezzare quella ricercatezza formale che trasuda dai brani più raffinati con alcune gemme pop che si colorano di ironia (Sigourney Weaver, prorpio l'attrice di Alien richiamata nelle liriche, e ancora la saltellante Chicken Bones), di scanzonata solarità (una Silver Platter Club che a tempo di marcetta vaudeville staziona fra Graham Nash e Paul McCartney). Colpi si synth (Brit Herrington) e una ostentata ridondanza affossano una parte della scaletta, dalle parti di Outer Space e Jesus Hates Faggots in modo particolare, dando forse l'impressione di voler "sfruttare" fin troppo l'effetto vocale di Grant, salvo risalire nella chiusura grazie al saliscendi emozionale della stessa Queen of Denmark.
(Fabio Cerbone)

johngrantmusic.blogspot.com
www.bellaunion.com



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