inserito 20/09/2010

Dr. John
Tribal
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429 Records/ Proper 2010
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Sta letteralmente vivendo una seconda giovinezza, dopo il periodo interlocutorio a cavallo tra gli anni '80 e '90, quel poco ortodosso dottore che di vero nome fa Malcolm John "Mac" Rebennack, in arte è noto come Dr John, ha ormai la stessa età (non verdissima) di mio padre e in materia di salute e sostanze acconce a mantenerla ha idee radicalmente diverse dal ministro Ferruccio Fazio. Mi pare anzi che, negli ultimi tempi, oltre a frullare - al solito - blues, zydeco, boogie woogie, jazz e rock'n'roll con estro sulfureo e impagabile, sia pure riuscito a bilanciare come raramente gli era capitato le principali fonti d'ispirazione della sua musica. Vale a dire la tradizione mistica, spiritista e cabalistica del sottobosco voodoo di New Orleans e dintorni da un lato, e dall'altro l'amore sconfinato per il jazz e la canzone americana d'antan, di preferenza risalenti al periodo incastonato tra il primo novecento e l'immediato dopoguerra. Il sinistro, strepitoso N'Awlinz: Dis Dat Or D'Udda era stato un paragrafo forse irripetibile nella discesa agli inferi della prima categoria, il mezzo capolavoro Mercernary, consacrato al repertorio di Johnny Mercer, aveva espresso con dolcezza ed eleganza straordinarie la profonda, viscerale passione per la seconda.

Dopo City That Care Forgot ('08), struggente quanto irrisolta dichiarazione di vicinanza alla terra devastata dall'uragano Katrina (che il tetragono correttore automatico di Word insiste a trasformare in "Latrina", e forse un motivo ci sarà), il nuovo Tribal provvede a mescolare i due aspetti dell'arte del dottore con rinnovata intensità. Di nuovo accompagnato dai Lower 911 e da un manipolo, convocato per l'occasione, di altri quindici musicisti (più un'intera sezione archi), Dr John mette in piedi, dedicandolo allo scomparso Bobby Charles, l'ennesimo, irrinunciabile caleidoscopio di suoni dove il ventre oscuro della Louisiana e quanto ascrivibile al matrimonio tra rock e jazz confluiscono senza soluzione di continuità, in pratica creando canzoni il cui genere d'appartenza non può essere altro se non quello istituito dal suo artefice. Laviche colate di funk (Change Of Heart, Whut's Wit Dat, When I'm Right) si intrecciano a splendide ballate addirittura flirtanti con partiture classiche (Lissen At Our Prayer), rhytm'n'blues che avrebbe potuto architettare un Randy Newman ebbro di rhum (Only In America) trascolorano in un ruggenti flussi di coscienza à la Van Morrison (accade in una title-track somigliante a un ipnotico rituale occulto) e costituiscono le punte di diamante di un album che si apre - non dimentichiamolo - con un brano intitolato Feel Good Music, tanto per capire dove si va a parare.

Al di là del consueto trionfo di sax e trombe, ritmi insinuanti, mid-tempos strappamutande, femmine che disegnano traiettorie vocali provviste della sensualità di un amplesso particolarmente torrido (ascoltate il sensuale pachuco soul di Jinky Jinx), rasoiate sudiste di sei corde che spuntano dove meno te lo aspetti (occhio alla slide vorticosa di Derek Trucks sull'incendiaria Manoovas), diversi brani scritti a quattro mani col venerabile Allen Toussaint, Tribal ci consegna un Dr John strepitoso cantante, segnale ulteriore (semmai ce ne fosse stato bisogno) di come certi artisti invecchino con la grazia e la struttura dei liquori di pregio. Groovy e trascinante, incalzante e teneramente raccolto, Tribal è uno dei migliori capitoli della lunga storia del dottore di New Orleans. Al quale auguriamo (ma è più che altro un auspicio rivolto a noi stessi) altre cento di queste prescrizioni.
(Gianfranco Callieri)

www.drjohn.org
www.429records.com



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