inserito 15/01/2010

Joel Plaskett
Three
[Songs for the Gang
 2009
]



Perché ad una festa piena di ragazze ci colpisce proprio quella che se ne sta in disparte, un po' anonima (magari anche bruttina, bassina, qualche chilo di troppo...)? Per spiegare il mio innamoramento per l'ultima fatica (27 canzoni: il termine è adatto) di questo eterno ragazzotto canadese in licenza dalla sua band - gli Emergency: 3 album e un buon seguito lassù dalle parti di Halifax - dovrei riuscire a dare la ragione di certe "cotte" inspiegabili e inevitabili. Forse la chiave di tutto sta nella semplicità un po' naif con cui Joel Plaskett confeziona la sua musica. Benché il progetto sulla carta appaia sintomo di megalomania, il risultato (le canzoni, cioè) è quanto di più diretto e "candido" mi sia capitato di ascoltare da tempo. Tutto nasce da una sorta di ossessione per il numero tre e i suoi multipli: tre cd, 9 canzoni ciascuno, metà delle quali ha per titolo una parola ripetuta tre volte, usciti sul mercato il 24/03/09 (data divisibile per tre, ovviamente...).

Se vi sta venendo il mal di testa, magari ripensando a quanto avete sudato ai tempi della scuola sulla simbologia della Commedia (o meglio, Comedìa) dell'Alighieri, tranquillizzatevi: qua è poco più di un gioco, una scusa per radunare un po' di canzoni. Anche se, a ben vedere, ogni CD ha una sua identità, tematica e stilistica. Il primo narra l'impulso di fuga dalla vita di provincia con un linguaggio smaccatamente pop-rock (Tom Petty in primis, anche per le affinità nel timbro vocale) che non nasconde i suoi riferimenti agli anni '80, mischiando a volte roots'n'roll ed elettronica casalinga (ricordate Stan Ridgway, i Timbuk 3 o i The The di Matt Johnson?). Il secondo disco è quello più meditativo e introverso: le canzoni si raggomitolano sulla nostalgia di ciò che si è lasciato alle spalle, e la ballata, acustica o elettrica, diviene il linguaggio dominante, mentre il suono scivola verso gli anni '70 e il folk-rock. E se anni '80 devono essere (dopotutto Plaskett è nato nel 1975), allora i riferimenti diventano Waterboys, Lloyd Cole o i Church smarriti sotto la via lattea. Il terzo è il disco del ritorno a casa, per scoprire che nulla è come lo si ricordava. La musica incrocia l'esuberanza del primo cd con l'intimismo del secondo, e si chiude con una cavalcata di 12 minuti (On & On & On) nelle praterie cosmiche di fianco a Gram Parsons.

Tutto qua, ma non è poco. Magari non tutte le 27 canzoni - e mi perdonerete se non le ho analizzate nel dettaglio - sono memorabili, ma nessuna suona inutile o fuori posto. Plaskett indossa diverse maschere lungo i 90 e più minuti di quest'opera: dal balladeer acustico di Heartless, Heartless, Heartless al nerd che pasticcia con l'elettronica di In the Blue Moonlight, dal glam-rocker di Run Run Run al menestrello roots di Sailor's Eyes, sicuro dei suoi mezzi e spalleggiato dal controcanto femminile di Rose Cousins e Ana Egge. Sembra appartenere ad una razza rara di autori: quelli che scelgono di fare le cose nel modo più diretto possibile, senza trucchi o belletti, a costo di sembrare dei sempliciotti. Mi ricorda il candore di un Jonathan Richman (di cui condivide a volte anche il surrealismo: "I'm the Berlin Wall, I'm a communist/You're a wrecking ball in a summer dress" canta in Through & Through & Through). Insomma, questa volta la ragazza "anonima" l'accompagno a casa io. Voi restate pure a farvi imbambolare da qualche coscia lunga senza sostanza. La prossima volta, però, guardatevi intorno.
(Yuri Susanna)

www.joelplaskett.com
www.myspace.com/joelplaskett1



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