Perché ad una festa piena di ragazze ci colpisce proprio quella che se
ne sta in disparte, un po' anonima (magari anche bruttina, bassina, qualche
chilo di troppo...)? Per spiegare il mio innamoramento per l'ultima fatica
(27 canzoni: il termine è adatto) di questo eterno ragazzotto canadese
in licenza dalla sua band - gli Emergency: 3 album e un buon seguito lassù
dalle parti di Halifax - dovrei riuscire a dare la ragione di certe "cotte"
inspiegabili e inevitabili. Forse la chiave di tutto sta nella semplicità
un po' naif con cui Joel Plaskett confeziona la sua musica. Benché
il progetto sulla carta appaia sintomo di megalomania, il risultato (le
canzoni, cioè) è quanto di più diretto e "candido" mi sia capitato di
ascoltare da tempo. Tutto nasce da una sorta di ossessione per il numero
tre e i suoi multipli: tre cd, 9 canzoni ciascuno, metà delle quali ha
per titolo una parola ripetuta tre volte, usciti sul mercato il 24/03/09
(data divisibile per tre, ovviamente...).
Se vi sta venendo il mal di testa, magari ripensando a quanto avete sudato
ai tempi della scuola sulla simbologia della Commedia (o meglio, Comedìa)
dell'Alighieri, tranquillizzatevi: qua è poco più di un gioco, una scusa
per radunare un po' di canzoni. Anche se, a ben vedere, ogni CD ha una
sua identità, tematica e stilistica. Il primo narra l'impulso di fuga
dalla vita di provincia con un linguaggio smaccatamente pop-rock (Tom
Petty in primis, anche per le affinità nel timbro vocale) che non nasconde
i suoi riferimenti agli anni '80, mischiando a volte roots'n'roll ed elettronica
casalinga (ricordate Stan Ridgway, i Timbuk 3 o i The The di Matt Johnson?).
Il secondo disco è quello più meditativo e introverso: le canzoni si raggomitolano
sulla nostalgia di ciò che si è lasciato alle spalle, e la ballata, acustica
o elettrica, diviene il linguaggio dominante, mentre il suono scivola
verso gli anni '70 e il folk-rock. E se anni '80 devono essere (dopotutto
Plaskett è nato nel 1975), allora i riferimenti diventano Waterboys, Lloyd
Cole o i Church smarriti sotto la via lattea. Il terzo è il disco del
ritorno a casa, per scoprire che nulla è come lo si ricordava. La musica
incrocia l'esuberanza del primo cd con l'intimismo del secondo, e si chiude
con una cavalcata di 12 minuti (On & On & On)
nelle praterie cosmiche di fianco a Gram Parsons.
Tutto qua, ma non è poco. Magari non tutte le 27 canzoni - e mi perdonerete
se non le ho analizzate nel dettaglio - sono memorabili, ma nessuna suona
inutile o fuori posto. Plaskett indossa diverse maschere lungo i 90 e
più minuti di quest'opera: dal balladeer acustico di Heartless,
Heartless, Heartless al nerd che pasticcia con l'elettronica
di In the Blue Moonlight, dal glam-rocker
di Run Run Run al menestrello roots
di Sailor's Eyes, sicuro dei suoi
mezzi e spalleggiato dal controcanto femminile di Rose Cousins e Ana
Egge. Sembra appartenere ad una razza rara di autori: quelli che scelgono
di fare le cose nel modo più diretto possibile, senza trucchi o belletti,
a costo di sembrare dei sempliciotti. Mi ricorda il candore di un Jonathan
Richman (di cui condivide a volte anche il surrealismo: "I'm the Berlin
Wall, I'm a communist/You're a wrecking ball in a summer dress" canta
in Through & Through & Through). Insomma,
questa volta la ragazza "anonima" l'accompagno a casa io. Voi restate
pure a farvi imbambolare da qualche coscia lunga senza sostanza. La prossima
volta, però, guardatevi intorno. (Yuri Susanna)