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The
O's
We Are the O's
[Idol
Records 2009]
Esiste nella musica americana moderna una corrente che, più che "revivalistica",
definiremmo proprio reazionaria, che in qualche modo teorizza (o semplicemente
fomenta) la restaurazione della roots-music degli anni '80. Parliamo di
artisti che pagherebbero per poter essere ricordati come i ri-scopritori
di un certo suono rurale, alla Long Ryders o Green On Red per intenderci,
o parliamo ad esempio degli O's, duo esordiente che riporta subito
alla mente l'epopea dei BoDeans, o ancor più quella dei loro seguaci di
metà anni novanta come Billy Pilgrim e Jackopierce. We Are The O's
è il loro manifesto di presentazione, undici brani che sembrano
essere stati risputati fuori da un mondo in cui il banjo era visto come
una spada laser alla Guerre Stellari per combattere lo strapotere della
forza nera dei sintetizzatori degli anni 80. Taylor Young e John
Pedigo vengono da Dallas, e tra chitarre, mandolini e kick-drums,
riescono in due a riempire un suono che pare quello di una band, anche
grazie al buon lavoro di amalgama e produzione di Jeff Halbert, ingegnere
del suono della Rickie Lee Jones più recente (ma anche produttore dei
Backsliders, per tornare al discorso di restaurazione del roots che fu…).
La loro biografia ufficiale fa quasi tenerezza, con quella lunga digressione
su come il loro fine non sia quello di far soldi, conquistare ragazze
facili o guadagnare successo, e nemmeno quello di rivivere una vita on
the road fatta di alcool e chilometri macinati ogni giorno, ma semplicemente
quello di scrivere canzoni, e con quelle fare festa. Una filosofia commovente,
che sembra davvero quella che animava una generazione di musicisti nati
per un vero credo artistico com'era quella dei roots-rocker di venticinque
anni fa, e che in fondo fa piacere ritrovare in quest'era, dove fare musica
sembra essere diventato un passatempo come altri, accessibile a tutti
come l'andare in palestra e bere aperitivi durante l'happy hour delle
sette di sera. Avevamo già più volte incontrato John Pedigo con i suoi
precedenti gruppi (i cowboy-punk Slick 57 e i più Neil-Young-oriented
Rose County Fair), tutti usciti dal calderone indipendente di Dallas,
ma qui la liaison con il nuovo compagno ha partorito un bel disco di dolci
e convinte folk-songs, con alcune punte di buon songwriting in Don't
Waste Your Day, Fast As I Can e
California.
Per il resto il disco soffre della mancanza di grandi alternative negli
arrangiamenti, ancorati al continuo intreccio da mandolino e acustiche,
ma la leggerezza quasi pop di certe melodie (One
Way Ticket o You've Got Your Heart)
e la capacità di "fare la canzone" anche solo con un sapiente impasto
delle due voci (come sapevano fare i migliori Bodeans prima che s'impigrissero),
fa si che questo We Are The O's scorra senza intoppi fino alla fine. Lontano
dall'essere un disco che segna la strada, resta comunque un ottimo documento
del linguaggio rock di una provincia americana che proprio non ne vuole
sapere di uscire dal suo isolamento.
(Nicola Gervasini)
www.wearetheos.com
www.myspace.com/wearetheos
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