inserito 21/12/2009

Jude Davison
Circo de Teatro
[
Pigeon Moods, 2009
]



Chi è Jude Davison? Ce lo siamo chiesti anche noi, rigirandoci tra le mani questo cd con lo scorcio in bianco e nero di un tendone da circo sulla cover. E' un signore anglo-canadese di mezz'età che nella vita è stato ben poco fermo. Ai tempi della high school sputava punk nelle cantine di Toronto (era il 1977 anche da quelle parti), poi negli anni '80 ha cercato fortuna a Londra, prima di tornare in Canada a coltivare ostinato la sua vocazione. La cosa più vicina al successo che l'abbia sfiorato pare sia stata la vendita dei diritti di due sue canzoni al serial Baywatch nei primi anni '90. Qualche band, tanti progetti (un musical, colonne sonore, cassette autoprodotte...) e si fa presto ad arrivare a Circo de teatro, che le note di stampa ci informano essere il 18° album (!!!) della sua carriera. Allora, mister Davison, non conosciamo quello che hai combinato prima, ma questo è davvero un prodotto di qualità, un concept-album suonato per buona parte in totale autarchia (giusto qualche aiuto per i cori, i fiati e l'apporto di Craig Korth al banjo), che ignorare sarebbe un crimine.

Sì, è vero, gira intorno a temi - la magia del circo, la vita on the road, lo sguardo sulle miserie dei freak dietro lo sfavillare delle luci della ribalta - che basterebbe un soffio di retorica in più a rendere indigeribili (ritrovandosi dalle parti di Cecil B. DeMille, invece che di Fellini). E sì, lo ammettiamo, ricicla musiche e atmosfere senza troppo curarsi di nasconderlo: una buona dose di Calexico (Big Top Parade, Belle and Ophelia), un po' di Tom Waits (periodo Heartattack & Vine, ascoltate Amphetamine Sam), spezie bluegrass (Madame O potreste scambiarla per una sortita elettrica dei Soggy Bottom Boys), per arrivare ai vecchi amori Ray Davies e Bowie, quando è il momento di dare la scossa al pubblico con dei pop-rock dal refrain ad effetto (Devil's Road, Rag and Bone, Monkey See, tre numeri con l'appeal da potenziali hit single). Quand'è il momento sa anche scivolare (pericolosamente) su un sentimentalismo da maracas, tromba e guitarrón (Veil of Tears), arrischiando persino un gramelot italo-spagnolo che potrebbe farlo cadere col culo per terra (Con Volai Amore).

Ma ne esce comunque a testa alta, confezionando un'opera che nella sua sfrontata pretenziosità rivela un autore che in carriera non ha intascato credito pari al talento. La cura degli arrangiamenti lascia di stucco (ecco, forse un po' di sporcizia in più avrebbe aumentato la capacità seduttiva di alcuni brani): siamo ad anni luce di distanza dalla trascurata povertà della maggior parte delle autoproduzioni contemporanee. E' uno spettacolo che punta su una studiata varietà, tenuta insieme da un filo di latinità raffinata, filtrata da un occhio decadente ed europeo. Manipola rock veloci e di facile presa con l'abilità di un giocoliere e vola tra numeri da vaudeville e ritmi da balera messicana come un trapezista sicuro della presa. Forse nell'insieme è solo gioco di prestigio, ma non vediamo motivi per non lasciarsi ipnotizzare, tornando a casa contenti come bambini.
(Yuri Susanna)

www.circodeteatro.com
www.myspace.com/judedavison

 


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