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Boca
Chica
Lace Up Your Workbooks
[Mint
records 2009]
La popolare bibbia rock online Allmusic definisce sbrigativamente - peraltro
senza note biografiche - la musica dei Boca Chica come "latin":
deve essere sembrato un bello scherzo alla malcapitata Hallie Pritts,
voce e autrice attorno alla quale si coalizza questo progetto artistico
nato in quel di Pittsburgh, la più lontana delle creature musicali rispetto
alla definizione suddetta. Lace Up Your Workboots, terzo
lavoro a partire dall'omonimo debutto del 2005, abita infatti le terre
di un indie rock sognante e bagnato nelle acque della tradizione, con
uso abbondante di pedal steel (James hart), chitarre e banjo (Jeff
Baron dagli Essex Green e la spalla Christophen McDonald) a sostenere
il canto indolente della protagonista. Ci troviamo davvero da tutt'altra
parte, in quella commistione fra estasi pop, filosofia indipendente e
riscoperta delle radici che così tanto popola il sottobosco americano
di queste ultime stagioni.
Con ogni probabilità consiste proprio in questo il maggiore difetto di
un disco, affascinante nelle atmosfere un poco dark e spirituali (una
Neko Case meno ammaliante in compagnia delle Be Good Tanyas, giusto per
citare qualche nome che è stato accostato, forse persino impunemente,
ai Boca Chica), ma troppo indistinto e appagato da certe formule sonore
per elevarsi nel mucchio. L'idea che i Boca Chica abbiano trovato la quadratura
del cerchio, come certa stampa specializzata americana ha fatto notare,
pare davvero una forzatura: è innegabile che Lake
Erie e Backseat traghettino
la lezione country rock sulle rive di un suono indie più impalpabile e
ingentilito, scevro insomma da quella componente rurale che appartiene
ai più fedeli ambasciatori del genere. Così come è sacrosanto rispolverare
un rinascimento old time aggiornato ai nostri giorni, grazie a Pins
and Needles, all'incantata Valentine,
ad una Like Sheep in the Night che
sarebbe piaciuta a Jolie Holland o alle Po' Girl, prima di tornare sui
sentieri di un purismo alt-country fra le chitarre e la liquida steel
che attraversa Workboots.
Impressioni sacrosante, se non fosse che oltre al pregevole dato strumentale
(la band, allargata ad una decina di elementi, mostra un gusto irreprensibile),
Lace Up Your Workboots si sfilaccia non poco sulla distanza, arrivando
senza fiato nel finale, tra gli ammenicoli ritmici di Oh,
Magdelene! e la lunga cantilena di The
Hourglass Waltz (un ballata folk con qualche velleità modernista).
Hallie Pritts non aiuta certo con quella cantilena vocale che si ritrova
e l'idea di rievocare costantemente paesaggi, luoghi desolati e storie
di ordinaria quatidianità con la naturalezza di una ragazza cresciuta
nella provincia. Tutto mediamente amabile ma assai poco personale.
(Fabio Cerbone)
www.myspace.com/bocachica
www.cdbay.com
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