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Yonder
Yonder
[Rootsy.nu
2008]
La Svezia ha circa nove milioni di abitanti, più o meno un sesto dell'Italia
o un trentaquattresimo degli Stati Uniti. La Svezia, unitamente alla vicina
Norvegia, storicamente ha sempre avuto una tradizione musicale molto particolare,
divisa tra un'anima heavy metal che ha prodotto una scena di hard gotico
longeva e animatissima, e un'altra anima da tipico easy-pop europeo, che
ha avuto gli Abba e gli Europe come blockbusters. Ora, se la matematica
non è un opinione, le probabilità che tra questi 9 milioni di svedesi,
già in gran parte impegnati nei due generi sopraccitati, possano crescere
scene musicali alternative di grossa portata sono davvero minime. Eppure
da molto tempo a questa parte la Svezia sembra essere diventata la capofila
di tutta la scena indipendente mondiale: new-folk, indie-pop, scorrendo
la lista dei nuovi big names della zona troviamo definizioni musicali
di ogni tipo, ma a colmare un'ultima lacuna arrivano gli Yonder,
con il loro misto di "folk, blues, old-time church- and mountain music".
Loro sono un quartetto che da anni bazzica i club di Stoccolma, e dicendo
"da anni" stiamo parlando dei primi anni 80, segno che ad esordire è solo
il nome della band, visto che alcuni componenti tradiscono, fin dai visi
scavati e dalle voci incatramate, età decisamente oltre gli "anta". Mats
Qwarfordt (voce, harmonica, harmonium), Christer Lyssarides
(chitarre), Björn Lundquist (basso) e Kjell Gustavsson (percussioni)
sono i protagonisti di un combo che ha la particolarità di far proprio
il motto "less is more", utilizzandolo per il loro folk/blues acustico.
Altra positiva caratteristica è quella di suonare molto materiale originale,
scritto seguendo alla lettera i vademecum della musica tradizionale americana,
ma interpretato con il mood tipico delle terre nordiche. Solo l'apertura
di Deulah Land riprende un vecchio
traditional del 1928 da tempo nel repertorio di Mississippi John Hurt,
ma già con I Want To Wake Up With You o
Single Man Blues gli Yonder mostrano
una certa personalità anche in fase di scrittura. L'essenzialità a tutti
i costi ricercata dai quattro porta però al risultato che i grandi protagonisti
del cd siano soprattutto gli strumenti: una armonica che fa vibrare il
cuore, tappeti di acustiche intrecciati con grande maestria e una voce
che può ricordare quella del Levon Helm più recente, sofferta e scavata,
adatta per esprimere il dolore di queste gospel-songs bianche.
Il difetto del tutto è che il totale affidamento su suoni acustici davvero
speciali fa perdere un po' il senso dell'insieme, vuoi perché molte canzoni
indugiano in tempi troppo lunghi, vuoi perché lo stile sussurrato della
band, protratto per cinquanta minuti, fa calare la tensione laddove il
brano da solo non basta a tenerla alta. Ma è evidente che gli Yonder
richiedono una attenzione e un silenzio da parte di chi li ascolta difficile
da garantire, ma se ci si riesce anche per soli 5 minuti la soddisfazione
è davvero tanta.
(Nicola Gervasini)
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