|
Patty
Larkin
Watch the Sky
[Vanguard
2008]
Sono molti i grandi musicisti che nel corso della loro carriera hanno
avuto la folle tentazione di registrare un disco scrivendo, producendo
e suonando tutto da soli. L'idea di essere sufficienti a sé stessi è allettante
per l'ego di un artista, ma la strada per ottenere grandi risultati è
piena di ostacoli e pericoli. Dopo cinque anni di silenzio dal precedente
album Red=Luck, Patty Larkin torna con questo atteso Watch
The Sky e sfrutta tutta la fiducia che la Vanguard ripone in lei,
dopo quasi dieci anni di rapporto, per tentare il colpo con un album completamente
autarchico. E non stiamo parlando di un disco solo voce e chitarra, ma
di un set di dodici canzoni di ossatura blues, country e folk arrangiate
con grande dispiegamento di mezzi e strumenti dalla nostra Patty, che
per l'occasione sfoggia la sua collezione di strumenti: chitarre acustiche,
elettriche, baritonali, lapsteel, National steel, e ancora banjo, bouzouki,
basso, organetti giocattolo, campanelli e un bel sintetizzatore per programmare
loops di ogni sorta.
Il risultato è qualcosa che la allontana ormai totalmente dalla musica
degli esordi di più di vent'anni fa, quando veniva descritta come la nuova
Bonnie Raitt per quel suo mix di blues e folk che le ha fatto guadagnare
tanto rispetto. Watch The Sky ricorda invece la modernità dei dischi di
Beth Orthon o gli Over The Rhine meno folkie di Music For Films (ascoltate
i cinque minuti dell'interessante Walking In
My Sleep per rendervene conto), cerca la via della canzone
d'atmosfera (All Souls Day) e persino
le chitarre vengono spesso utilizzate come se fossero tastiere da accompagnamento
invece di giocare il ruolo da protagoniste, addirittura anche quando ci
si trova davanti ad uno strumentale come Bound
Brook. La Larkin nel gioco riesce in maniera convincente a
non far sembrare questi brani come semplici abbozzi o demo di un disco
che ancora deve essere realizzato, ma come un opera pienamente compiuta,
ma non riesce infine ad evitare che ad esempio l'ascolto di Travelling
Alone faccia immaginare quanto di non comunicato ci sia in
un arrangiamento scarno e in qualche modo mozzo, che indubbiamente toglie
qualcosa al senso evocativo del testo. Watch The Sky riesce comunque a
non celare il gran talento della Larkin, offrendo un pugno di canzoni
come Cover Me o l'intensa Hallelujah
che potrebbero entrare di diritto nelle pagine migliori del suo songbook.
Ma la nostra memoria ci fa anche ricordare che già nel 1967 John Mayall
fu tra i primi a tentare con il suo The Blues Alone la via del self-made-album
e il risultato è il suo titolo meno memorabile e celebrato dell'epoca
d'oro del brit-blues. Allora forse non esistevano tutte le diavolerie
elettroniche che fan sembrare questo disco comunque suonato da una band,
ma resta l'idea che anche gli artisti più autorevoli abbiano bisogno di
un confronto costante e stimolante in studio per far risplendere al meglio
le loro creazioni. E Watch The Sky, nonostante sia un disco
non disprezzabile, non riesce a diventare l'eccezione a questa regola.
(Nicola Gervasini)
www.pattylarkin.com
www.vanguardrecords.com
|