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Johnny
Flynn
A Larum
[Vertigo/
Universal
2008]
Prendere in prestito un'espressione dal cosiddetto Middle English,
la lingua inglese del basso Medioevo, e intitolarci un album è già un
indizio preciso sui gusti, le influenze e la sensisibilità di un giovane
songwriter. Sulla qualità poi delle canzoni bisogna invece giocarsela
fino in fondo e Johnny Flynn pare essersela cavata con un debutto
di notevole fascino e molte domande aperte sul suo futuro. A Larum
- espressione che indica il moderno "alarm", spesso utilizzata dal teatro
di Shakespeare a segnalare un disordine fuori dal palco - diventa simbolicamente
un ciclo di canzoni che suonano l'allarme per il mondo in rovina dei nostri
tempi. Così Johnny Flynn porta a casa in un colpo solo sia la sua acuta
prospettiva di autore dal taglio letterario (The
Box la dedica alla vita di Henry David Thoreau), spesso ironico
(intitolare una canzone Wayne Rooney
pur senza riferirsi esplicitamente nel testo all'omonimo calciatore è
una prova lampante), sia la sua formazione di attore, con un passato fatto
di apparizioni in alcune fortunate serie televisive ma soprattutto in
numerose messe in scena di opere del citato Shakespeare, amore mai abbandonato.
Cittadino del mondo, nativo del Sud Africa, inglese sul passaporto e americano
adottivo, Flynn porta a spasso le sue ballate sgorgate da una dieta intensiva
di Bob Dylan, scovando un punto di contatto, nemmeno così inedito,
fra il folk inglese e quello Appalachiano, tra reminiscenze di una stagione
lontana per la musica inglese ed una sempre attuale rilettura dell'American
music. L'effetto che produce la musica architettata con i Sussex
Wit (tra cui andrebbero citati i preziosi contributi di Adam Beach
e Matt Edmonds) è dunque quanto meno curioso: sciogliendosi in filastrocche
melodiose (Tickle Me Pink, Leftovers),
bizze che assumono persino un sapore old time (il banjo in Eyeless
In Holloway) e bluesy (la tormentata e delisiosamente retrò
Brown Trout Blues), adagiato tra un
indie-folk che pare accendersi a tratti di tonalità pop e in altre di
fosche tinte da murder ballad (Cold Bread,
Hong Kong Cemetery, sulla alla morte
di un genitore), senza perdere peraltro il suo accento locale (Sally),
A Larum è un disco che mette a frutto una indubbia coesione
e un gioco di squadra che rende chiara l'idea di epicità che Johnny Flynn
ha del suo songwriting.
L'unico freno ad una definitiva investitura del personaggio è l'idea che
A Larum sia costruito intorno a quelle due o tre intuizioni musicali (il
docile fingerpicking, i contrappunti di violino e tromba, qualche buono
spunto corale), che tendono forse a ripetersi con una certa maniacalità
da metà disco in poi. Per questo si arriva in fondo a Tunnels
e All The Dogs Are Lying Down con
la percezione che non tutto sia stato ancora scritto su Johnny Flynn e
sulla sua visione di moderno trovatore. D'altronde siamo all'esordio e
c'è da scommettere che si tornerà presto a parlare di lui: se riuscirà
a bilanciare meglio le sue passioni fra teatro e musica non potrà far
altro che maturare.
(Fabio Cerbone)
www.johnnyflynnmusic.co.uk
www.myspace.com/johnnyflynn
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