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Hayseed
Dixie
No Covers
[Cooking
Vinyl 2008]
Se dico che da qualche anno a questa parte avevo un po' perso di vista
gli Hayseed Dixie, indemoniato combo tra rock e bluegrass proveniente
dalla fittizia contea di Deer Lick Holler, Appalachia (più o meno la loro
Yoknapatawpha faulkneriana), spero la bontà del lettore vorrà ascrivere
la cosa alla categoria delle distrazioni senza dolo. Negli ultimi tempi,
difatti, mi era sembrato che la proposta del gruppo, imperniata su di
un "rockgrass" nato per autodefinizione e in pratica coniugante il bluegrass
e l'hard-rock degli anni '70, avesse perso per strada gran parte della
furia, dei modi sboccati e della carica eversiva dimostrata in album esplosivi
come A Hillbilly Tribute To Ac/Dc (2001) o Kiss My Grass: A Hillbilly
Tribute To Kiss ('03).
Credo però che una formula rivoluzionaria, nel caso degli Hayseed Dixie
espressa al meglio in Let There Be Rockgrass ('04), rischi di tramutarsi
in consuetudine a rischio di sbadigli quando viene riprodotta in serie
declinando qualsivoglia sostanziale variazione sul tema. Non fa eccezione
questo nuovo No Covers (sottotitolo: More Songs About
Drinking, Cheating, Killing And Hell), dove Barley Scotch (chitarra,
voce, violino, tamburi), "Reverend" Don Wayne Reno (banjo), "Deacon"
Dal Reno (mandola) e Jake "Bakesnake" Byers (basso) avranno
anche scritto i brani di proprio pugno, ma sempre declinandoli in un alternare
di assalti elettrici a calor bianco e sconquassi acustici ormai del tutto
prevedibile. C'è da dire che l'album comincia bene, con il rockabilly
devastante di Bouncing Betty Boogie,
il country in odor di Johnny Cash della tumultuosa Set
Myself On Fire e il rockaccio sradaiolo di When
Washington Comes Around: si tratta però di una partenza ingannevole,
in cui si può magari credere di essere capitati nei pressi di un discreto
album di Webb Wilder tuttavia presto risucchiato dalla banalità e dalla
noia.
Certo, l'hillbilly malinconico di Trickle Down
rischia persino di emozionare, ma a questo punto davvero non
si capisce perché deturparlo con quagli sguaiati cori da stadio che i
Dixies infilano praticamente in ogni canzone eseguita dall'inizio del
decennio ad oggi. Considerato poi che le esternazioni, diciamo così, "politiche"
di When Washington Comes Around e Born To Die
In France suonano a dir poco risibili (volendo usare un eufemismo),
che la combinazione tra glam-metal e bluegrass di You've
Got Me All Wrong Baby e Frustration
è ormai faccenda ampiamente convenzionale, che il classic-rock anodino
di una Last Days Coming fa rimpiangere
la fantasia di formazioni come Bad Livers e Split Lip Rayfield, che la
filastrocca infantile di Donkeys In Morocco
non strappa più nemmeno un sorriso e che la bella eloquenza country di
That's It I Quit sembra quasi aver
paura di mostrarsi priva di un mantello di facile iconoclastia, direi
che ce n'è abbastanza per archiviare No Covers nella categoria
delle occasioni sprecate. E gli Hayseed Dixie, purtroppo, alla
voce di quei gruppi che troppo presto hanno barattato il fascino violento
della sovversione con una routine incapace di sfoderare il benché minimo
mordente.
(Gianfranco Callieri)
www.hayseed-dixie.com
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