|
The
Felice Brothers
The Felice Brothers
[Team
Love
2008]
I Felice Brothers - ovvero Simone, Ian e James - e il bassista
Christmas sono al secondo giro di boa in pochi mesi e confermano la sensazione
di un quartetto dalla facile presa per chiunque nutra una certa passione
verso l'immaginario folk più trasandato, quell'America da periferia e
"strade blu" che non sembra mai conoscere flessioni in termini di fascino
e poesia stracciona. L'omonimo lavoro, vero e proprio esordio per un'etichetta
americana (il precedente Tonight
at the Arizona raccoglieva il
meglio delle loro produzioni indipendenti per l'inglese Loose) avanza
sul sentiero già tracciato, seppure con una strumentazione più variegata
che comprende l'uso massiccio di una sezione fiati, della fisarmonica,
del pianoforte e di un pizzico di elettricità, quanto basta per rendere
il suono più vivace del previsto. Quello che continua a marchiare il songwriting
dei Felice Brothers è tuttavia la loro propensione al canto straziato,
avventori di una forma di ballata da crepuscolo, un po' ubriaca, che sulla
lunga distanza (qui superiamo abbondantemente l'ora) mette in bilico l'equilibrio
del disco eppure lo salva sempre magicamente dal precipizio.
The Felice Brothers è tuttavia un album a tratti incantevole,
illuminato da almeno quattro episodi che rispolverano i vecchi luoghi comuni dell'America
dei pionieri: ci sono abbastanza pistole, motel, whiskey e lacrime versate per
riprendere in mano la saga di qualche vecchio honky tonk, di un folksinger abbandonato
lungo la ferrovia o di una combriccola di musicisti accattoni che suonano in una
malandata cantina. E guarda caso Frankie's Gun!
e Take This Bread paiono proprio sbucare da
una session perduta dei Basement Tapes: una banda alle spalle soffia una nostalgica
melodia da New Orleans e il canto dei fratelli segue all'unisono. Greatest
Show On Earth e Ruby Mae invece
fanno la loro comparsa quando le luci del saloon si sono spente e i clienti cominciano
a barcollare verso casa. Love Me Tenderly
non sarebbe dispiaciuta al Bob Dylan dei primi anni '70 mentre Whiskey
In My Whiskey è un'anticaglia hillbilly che potrebbe appartenere ad
un 78 giri raccolto per puro caso dal musicologo Harry Smith. Persino qualche
debito di troppo, diciamolo pure, se non fosse che i Felice Brothers dimostrano
di cavarsela anche con il lato più scuro del folk (una Helen
Fry che fluttua alticcia sulle note di un organo molto sixties) e soprattutto
di avere la sensibilità giusta per infilare sempre la melodia memorabile (Radio
Song). Certo quando si arriva in fondo alla cantilena di
Tip Your Way si resta con il dubbio, già espresso
in Tonight at the Arizona, se i Felice Brothers ci siano o ci facciano, un po'
compiaciuti dall'accoglienza benevola della critica e di un pubblico che li ha
portati ad aprire i tour di Bright Eyes e Waterboys. Al prossimo turno stabilire
se hanno spalle larghe e sufficiente ispirazione per portare oltre le intuizioni
qui presenti, nel frattempo giamo appieno il loro zigzagare nella memoria dell'american
music. (Fabio Cerbone) www.myspace.com/thefelicebrothers
www.team-love.com |