inserito il 01/07/2008

Ry Cooder
I, Flathead
[Nonesuch/ Warner 2008]



Piace la ritrovata prolificità di Ry Cooder, dopo anni di speleologia nei meandri della musica popolare di mezzo mondo. E piace la sua ostinazione nel proporre progetti che non siano solo raccolte di canzoni da inserire in playlist, ma opere con una loro autonoma coerenza. Il
gatto Buddy non ha ancora finito di fare le fusa, ed ecco il terzo concept in quattro anni. Questa volta Cooder indossa la maschera di Kash Buk, musicista anni '50, appassionato di motori e di corse hot rod. E' lui, il flathead del titolo (che più o meno sta per "zuccone", ma flathead nel gergo delle corse clandestine di quegli anni è anche il nomignolo dato a un tipo di motore fai-da-te), protagonista di un viaggio nel tempo nell'America di metà '900, nell'epoca del rhythm & blues che diventa rock & roll, delle corse lanciate sulle strade della California nel cuore (o nel culo, se preferite) del sogno americano. Per scoprire che sessant'anni dopo di quel sogno è rimasto ben poco.

Cooder ce lo racconta anche in un romanzo dallo stesso titolo, che ci auguriamo di vedere tradotto in italiano (niente meno che un mix di Steinbeck e Pynchon, a quel che si dice). Come accade in questi casi, più che la meta è il viaggio che conta, e i compagni incontrati per strada: personaggi surreali, alieni, musicisti country e freak di varia natura. Uno sguardo nostalgico su un periodo in cui "la stranezza era la norma", secondo le parole dello stesso autore. La musica naturalmente è parte fondamentale di questa eccentricità, mescolando con la consueta perizia nel dosare gli ingredienti un pizzico di follia post-moderna a quel suono vintage che Cooder e i suoi complici (più o meno i soliti: tra gli altri, Flaco Jimenez, Jim Keltner, il figlio Joachim, il trombettista John Hassell) maneggiano come nessun altro. Troviamo così le fragranze mariachi di Drive Like I Never Been Hurt di fianco a un numero "stonato" (nel senso di Jagger & Richards) come Waitin' For Some Girl; il centone di citazioni del Johnny Cash periodo Sun (si intitola proprio così: Johnny Cash) e l'omaggio a Bobby Bare di 5000 Country Music Songs, in mezzo a ballate dai contorni western (Spayed Kooley), danze da border (Filipino Dance Hall Girl) e numeri di adrenalina rock come Ridin' With the Blues. In Fernando Sez sembra persino di sentire un'eco balcanica che ci stupirebbe, se non avessimo a che fare con il musicista con le orecchie più aperte del pianeta.

Tutto perfetto, dunque? In realtà il disco sconta in parte la sua natura narrativa: due intermezzi recitati infatti rompono l'equilibrio dell'album e ne allungano la durata senza aumentarne l'appeal. Di contro, il già citato Ridin' With the Blues, in cui Cooder torna a svisare sul manico della Stratocaster come non faceva dai tempi di Get Rhythm, è purtroppo solo un assaggio che viene sfumato dopo 3 minuti (lasciandoci con l'acquolina in bocca, in parte soddisfatta dal successivo Pink-o-Boogie, sostenuto da un grande lavoro di slide). Trona Girl poi, unico brano non cantato in prima persona (la voce è di Juliette Commagere), è una chiusura davvero un po' debole, con quei suoni da Twin Peaks di frontiera.

Insomma, nell'attesa di leggere il romanzo, ci troviamo tra le mani un album che ha il sapore di un capolavoro incompiuto. E che, ad accontentarsi, si rivela "solo" l'ennesimo ottimo lavoro di quello che, probabilmente, è il più importante musicista roots (nel senso ampio del termine) in attività. Vi basta?
(Yuri Susanna)

www.nonesuch.com


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