inserito il 01/04/2008

Hayes Carll
Trouble in Mind
[Lost Highway/ Universal 2008]



Chi avrebbe mai scommesso un solo centesimo su Hayes Carll alla Lost Highway? In realtà delle avvisaglie c'erano state e noi stessi avevamo azzardato un futuro luminoso per questo ragazzotto texano dalla faccia asonnata e dalla scrittura piena di humor nero. Da tempo ormai l'etichetta è diventata non solo la casa accogliente di alcuni mostri sacri della tradizione americana, ma anche un porto di mare dove giovani talenti possono mettersi alla prova e qualche volta azzecchare la mano vincente (Ryan Bingham ne è stata una bella dimostrazione). Trouble in Mind si inserisce in questa coraggiosa scelta stilistica: prendere sotto l'ala protettrice di una grande major i migliori troubadour dell'ultima generazione e provare ad offrirgli una chance per uscire dalla regionalità che spesso affligge la loro musica. A differenza di altri però Hayes Carll è ostinatamente texano nel cuore e nell'anima, tanto che il suo terzo lavoro parla la lingua di un country rock impastato di polvere honky tonk, vecchie sale da ballo con le assi rotte, small town spazzate da qualche tornado.

"Lovers, losers and whiskey boozers"
non suonerebbe affatto male come slogan pubblicitario per Trouble in Mind, che invero non ha nulla da vendere e molto da regalare a chi continua ad apprezzare quei songwriter legati ad un doppio filo: poesia stracciona e ironia da saloon, una ballata spezzacuori e un rockaccio irriverente, senza fare troppe distinzioni. Prodotto da un vero marpione degli studi di registrazione quale Brad Jones - che ha spalancato le porte alle collaborazioni di Darrell Scott, Will Kimbrough, Dan Baird, ovvero tre chitarre che fanno parlare anche i muri, e di Al Perkins alla pedal steel - il disco è la naturale prosecuzione del già ispido e vivace Little Rock, soltanto con un suono più sfrontato e scintillante. E' dunque la congiura di texas country rock meglio congeniata degli ultimi tempi, e lo capisci dai primi versi di Drunken Poet's Dream, scritta a quattro mani con Ray Wylie Hubbard. Un punto di riferimento, insieme a Joe Ely, Terry Allen, al primo Steve Earle e ad un altro migliaio di renegade del South West, anche se il sobbalzare di It's A Shame, la puzza di benzina in Bad Liver And A Broken Heart, l'honky tonk alticcio di Faulkner Street e A Lover Like You sono piuttosto parenti stretti dei colleghi Jack Ingram e Todd Snider.

D'altronde Hayes Carll è nato e cresciuto come loro sulla strada e per la strada ha concepito la sua carriera: dice di essersi fatto le ossa in un posto isolato, chiamato Crystal Beach, sul Golfo del Messico, dove ha vissuto per qualche stagione. Ogni sera reclamavano a gran voce il repertorio di David Allan Coe e Merle Haggard e Hayes diligentemente eseguiva, imparando così i segreti del tenere in pugno una folla di rednecks. Un briciolo di sarcasmo sulla vita si è depositato anche sulle sue canzoni: altrimenti non si spiegherebbe l'ode on the road di I Got A Gig, banjo in primo piano e chitarre speziate in piccante salsa sudista, uno dei punti bollenti del disco al pari della pantomima amorosa di She Left Me For Jesus (She left me for Jesus/ and that just ain't fair/ she says that he's perfect/ how could I compare?) e della riedizione in veste country&western di I Don't Wanna Grow Up (Tom Waits), qui ricondotta alla sua essenza più rootsy con il dovuto rispetto.

C'è altro in Trouble in Mind, perchè una carezza maliconica, una riflessione amara, un ricordo, non lo si nega a nessuno: e così spuntano le ballate più pacate, i ricami acustici e le lezioni di Americana in Beaumont e Willing To Love Again, che non saranno necessariamente capolavori di finezza, ma vendono cara la pelle e tanto dovrebbe bastare a Hayes Carll per trascinare in giro la sua musica.
(Fabio Cerbone)

www.hayescarll.com
www.myspace.com/hayescarll


<Credits>