Hayes
Carll
Trouble
in Mind
[Lost
Highway/ Universal 2008]
Chi avrebbe mai scommesso un solo centesimo su Hayes Carll alla
Lost Highway? In realtà delle avvisaglie c'erano state e noi stessi
avevamo azzardato un futuro luminoso per questo ragazzotto texano dalla
faccia asonnata e dalla scrittura piena di humor nero. Da tempo ormai
l'etichetta è diventata non solo la casa accogliente di alcuni
mostri sacri della tradizione americana, ma anche un porto di mare dove
giovani talenti possono mettersi alla prova e qualche volta azzecchare
la mano vincente (Ryan Bingham ne è stata una bella dimostrazione).
Trouble in Mind si inserisce in questa coraggiosa scelta
stilistica: prendere sotto l'ala protettrice di una grande major i migliori
troubadour dell'ultima generazione e provare ad offrirgli una chance
per uscire dalla regionalità che spesso affligge la loro musica.
A differenza di altri però Hayes Carll è ostinatamente texano
nel cuore e nell'anima, tanto che il suo terzo lavoro parla la lingua
di un country rock impastato di polvere honky tonk, vecchie sale da ballo
con le assi rotte, small town spazzate da qualche tornado.
"Lovers, losers and whiskey boozers" non suonerebbe affatto
male come slogan pubblicitario per Trouble in Mind, che invero non ha
nulla da vendere e molto da regalare a chi continua ad apprezzare quei
songwriter legati ad un doppio filo: poesia stracciona e ironia da saloon,
una ballata spezzacuori e un rockaccio irriverente, senza fare troppe
distinzioni. Prodotto da un vero marpione degli studi di registrazione
quale Brad Jones - che ha spalancato le porte alle collaborazioni
di Darrell Scott, Will Kimbrough, Dan Baird, ovvero
tre chitarre che fanno parlare anche i muri, e di Al Perkins alla
pedal steel - il disco è la naturale prosecuzione del già
ispido e vivace Little
Rock, soltanto con un suono più sfrontato e scintillante.
E' dunque la congiura di texas country rock meglio congeniata degli ultimi
tempi, e lo capisci dai primi versi di Drunken
Poet's Dream, scritta a quattro mani con Ray Wylie Hubbard.
Un punto di riferimento, insieme a Joe Ely, Terry Allen, al primo Steve
Earle e ad un altro migliaio di renegade del South West, anche se il sobbalzare
di It's A Shame, la puzza di benzina
in Bad Liver And A Broken Heart, l'honky
tonk alticcio di Faulkner Street e
A Lover Like You sono piuttosto parenti
stretti dei colleghi Jack Ingram e Todd Snider.
D'altronde Hayes Carll è nato e cresciuto come loro sulla strada
e per la strada ha concepito la sua carriera: dice di essersi fatto le
ossa in un posto isolato, chiamato Crystal Beach, sul Golfo del Messico,
dove ha vissuto per qualche stagione. Ogni sera reclamavano a gran voce
il repertorio di David Allan Coe e Merle Haggard e Hayes diligentemente
eseguiva, imparando così i segreti del tenere in pugno una folla
di rednecks. Un briciolo di sarcasmo sulla vita si è depositato
anche sulle sue canzoni: altrimenti non si spiegherebbe l'ode on the
road di I Got A Gig, banjo in
primo piano e chitarre speziate in piccante salsa sudista, uno dei punti
bollenti del disco al pari della pantomima amorosa di She
Left Me For Jesus (She left me for Jesus/ and that just
ain't fair/ she says that he's perfect/ how could I compare?) e della
riedizione in veste country&western di I
Don't Wanna Grow Up (Tom Waits), qui ricondotta alla sua essenza
più rootsy con il dovuto rispetto.
C'è altro in Trouble in Mind, perchè una carezza
maliconica, una riflessione amara, un ricordo, non lo si nega a nessuno:
e così spuntano le ballate più pacate, i ricami acustici
e le lezioni di Americana in Beaumont
e Willing To Love Again, che non saranno
necessariamente capolavori di finezza, ma vendono cara la pelle e tanto
dovrebbe bastare a Hayes Carll per trascinare in giro la sua musica.
(Fabio Cerbone)
www.hayescarll.com
www.myspace.com/hayescarll
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