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John
Bottomley
Songpoet
[Crane/Bag
Recordings 2007]
Tra un "Poet" e un "Songpoet" c'è una bella differenza: potremmo dire
che il primo gioca con le parole, mentre il secondo le deve far giocare
con la musica. Lo sa bene John Bottomley, cantautore inglese che
ha scelto questa impegnativa definizione per intitolare il suo settimo
album solista, con la sicurezza di chi, dividendo da anni la sua carriera
tra musica, pittura e letteratura (3 romanzi al suo attivo), conosce bene
la profonda differenza tra le due cose. Bottomley è un nome che dalle
nostre parti non ha mai avuto molti riscontri, nel 1995 ebbe la sua grande
occasione con Blackberry, un album uscito per una major, e addirittura
con un singolo entrato nelle charts inglesi, poi però è sopraggiunta la
fine dei canali preferenziali dello show business e la logica prosecuzione
nel canale indipendente.
Songpoet è un disco che si dichiara fin dal titolo, folk per chi
ha voglia di ascoltare e capire le sue storie, con la sua bella voce accompagnata
da un tessuto strumentale essenziale ma ben arrangiato. 8 canzoni per
36 minuti di musica, il giusto per non stancare e rendere tutto necessario,
dalla bella apertura di Carry Carry Carry,
che sa molto dei Waterboys più folkie, fino all'incedere pigro di Mandolin
Clown. L'appartenenza al cantautorato anglosassone è evidente
anche nella melodia da vecchia giga inglese di Ghosts
Of Gold, anche se nel suo complesso Songpoet finisce per ricordare
molto i primi album di David Gray, con un po' meno rabbia nelle corde
vocali e qualche rimando alla tradizione in più. Si prosegue con The
Ballad Of Charlie Pillberry, che inizia con un recitato tra
pioggia e tuoni e si trasforma in una ubriaca romanza caratterizzata da
un bel violino e da una tromba a wah-wah, entrambi suonati dal bravo Daniel
Lapp.
Le sue sono storie di uomini ai margini dunque, con un tocco letterario
molto cinematografico che rappresenta il suo distinguo stilistico più
evidente. La sua musica invece corre sempre su binari noti, come nella
successiva I Drifted By The Creek,
o nell'epopea umana di Odyssey, che
viaggiano verso Dylan e un folk di stampo più americano. L'incisivo impasto
di chitarre è fornito dallo stesso Bottomley e da Bill Dillon,
vecchio marpione dello strumento e di ogni sorta di mandolino, la cui
lista di collaborazioni eccellenti occuperebbe un intera pagina (tra i
tanti, Joni Mitchell, Counting Crows e moltissime produzioni di Daniel
Lanois). Con il brano Songpoet (To Autumn) torniamo
in Irlanda, con l'intreccio di piano e clarinetto che ricorda tanto i
lavori di fine anni 80 di Van Morrison, un brano denso di toccante liricità
che fa da preludio al bellissimo finale di Trafalgar,
folk-song d'altri tempi cantata in coppia con la cantante tradizionale
inglese Ruth Sutherland.
Probabilmente Bottomley non è più nella posizione di scrivere pagine fondamentali
della musica inglese, ma con un piccolo gioiellino come Songpoet contribuisce
certamente a renderla sempre più prestigiosa.
(Nicola Gervasini)
www.johnbottomley.net
www.cdbaby.com
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