inserito
il 02/07/2007
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Loudon
Wainwright III
Un titolo simile lo poteva
trovare solamente Loudon Wainwright (il III non è mai stato un
accessorio e quindi vale la pena ribadirlo), proverbiale testimone di
un'arte dello scrivere musica seguendo ironia, estro, anche un po' di
sano cinismo. Strange Weirdos è davvero il colpo di coda
che non ti saresti aspettato, da un songwriter che sembrava avere speso
tutti i suoi, pur notevoli e imperituri, minuti di gloria. La sua altalenante
carriera di folksinger resta indubbiamente circoscritta dentro alcune
stagioni fondamentali della canzone d'autore americana, anche se dal fardello
di Nuovo Dylan degli anni settanta alla maturità di alcuni lavori
"londinesi" (per molto tempo più apprezzato in Europa che in madre patria)
del decennio successivo, è passata molta acqua sotto i ponti. Wainwright
non è rimasto a guardare le stelle, ha pubblicato in fondo con molta più
regolarità di tanti suoi colleghi, eppure sembrava bisognoso di una guida,
di una bussola artistica che lo riponesse faccia a faccia con le sue canzoni
migliori. Ci è riuscito Joe Henry, uno che ormai trasforma in oro
qualsiasi produzione gli venga affidata: Strange Weirdos è dunque il frutto
di questo matrimonio artistico, nato come colonna sonora del lungometraggio
Knocked Up di Judd Apatow e ben presto trasformatosi in
un vero e proprio album. I temi musicali (sono rimasti in scaletta un
paio di strumentali, Ypsilanti e Naomi) e un paio di singoli
sono stati dati in concessione al regista, fan di lunga data di Loudon,
mentre quest'ultimo e l'allievo Joe Henry (come non riscontrare una certa
influenza nei suoi primi lavori degli anni novanta) si sono chiusi negli
studi californiani di South Pasadena con Greg Leisz alle chitarre
(anche mandolino, lap e pedal steel), Patrick Warren al piano,
David Plitch al basso e Jay Bellerose alla batteria, resuscitando
un folk rock luccicante, dalle sonorità pastose ed eleganti. Sarebbe sufficiente
citare You Can't Fail Me Now, ballad morbida e struggente scritta
a quattro mani dai nostri protagonisti, ammantata da un quartetto d'archi,
per giustificare tali sensazioni. E tuttavia aggiungeteci pure le comparsate
di Richard Thompson (sua la chitarra in Grey in L.A. e non solo)
e Van Dyke Parks (l'inconfondibile accordion), tali così da chiudere
il cerchio su uno dei matrimoni elettro-acustici più accurati di questo
2007. Wainwright è più disilluso del solito (Doin' The Math, impastata
di soul), ma inguaribilmente romantico (Strange Weirdos). Non poteva
essere altrimenti con la squadra messa in campo: sono i primi versi di
Grey in L.A., solare filastrocca elettro-acustica, a metterti subito
a tuo agio, a farti assaporare la penna di un vecchio amico ritrovato:"When
It's Grey in L.a. I sure like it that way/ cause there's way too much
sunshine round here". Poi non serve altro che lasciarsi cullare dalla
corrente, la quale prevede peraltro sensazioni, stimoli, caratteristiche
al tempo stesso uniformi e differenti. Tratti comuni uniscono il puzzle
di Strange Weirdos, dalla dolciastra poesia country di Daughter
alle raffinatezze di Valley Morning , dal piano sudista da barrelhouse
di So Much To Do in coppia con le esplosioni r&b della spiritosa
X Or Y al country blues di Feel So Good (cover di Mose Allison),
da un ombroso folk rock quale Final Frontier, che sembra uscire
dala penna di T.-Bone Burnett, alla ripresa di una ardente Lullaby.
Sorprendente rinascita di Wainwright...e chissà cosa avrà
in serbo Joe Henry nel futuro prossimo: a questo punto il consiglio è
di andare a spulciare nuovamente fra i losers dei 70's. |