Matthew
Ryan
From
A Late Night High Rise
[00:02:59/Plastic
Violin 2007]
1/2
Dopo
il controverso esperimento a nome Strays
Don't Sleep, Matthew Ryan non sembra affatto intenzionato
a cambiare rotta: From A Late Night High Rise sviluppa e
perfeziona tutte le intuizioni di quel disco tra l'elettronico e il modernista,
cercando di annettere all'alfabeto della canzone rock alcune tracce di
contemporaneità già affacciatesi negli ultimi lavori di Joe Henry, di
Michael McDermott o dello stesso John Mellencamp. Lo dimostra il ruolo
fondamentale qui giocato da Nelson Hubbard, che nel progetto citato
rappresentava un vero e proprio alter ego di Ryan e anche qui contribuisce
in misura determinante all'allestimento di un scenografia sonora fredda,
astratta, quasi incorporea. Molti riferimenti stanno ancora al loro posto:
a incorniciare il tutto, nel booklet, c'è infatti una citazione dallo
Springsteen di Atlantic City ("Forse tutto ciò che muore prima o poi
torna indietro"), e talvolta, al solito, affiorano omaggi assai espliciti
al Tom Waits più notturno e bevuto o al tormento rockista di Paul Westerberg.
Non solo: quando la citazione è manifesta, Ryan ha l'umiltà e il buon
senso di dichiararla a chiare lettere, tanto che la sei corde effettata
di Love Is The Silencer viene indicata tra le liner-notes come
"chitarra alla I Will Follow", con lampante strizzata d'occhio agli amati
U2 del periodo wave. Nel complesso, direi che From A Late Night High Rise
assomiglia a un'ipotesi più organica e coerente del sentiero battuto con
gli Strays Don't Sleep, dacché non è un disco di "canzoni" in senso stretto,
bensì un contenitore di bolle trasparenti di suono sintetico, ora squarciate
dal sussulto rabbioso del rock'n'roll ora sempre più rarefatte e distaccate,
fino a raggiungere l'apoteosi afasica di June Returns For July
(27 secondi di synth illividito) o della conclusiva The Complete Family
(derelitto spoken-word con sottofondo di rumorismi assortiti). Alcune
tracce, tuttavia, sono semplicemente così belle da starci male: l'oceano
acustico dell'affranta Gone For Good e del suo inciso di armonica
ultra-springsteeniano, la pioggia di feedback della devastante Misundercould,
il pop romantico e appiccicoso di And Never Look Back o Everybody
Always Leaves, il lancinante inchino ai Clash di Babybird e
le carezze in distorsione di All Lit Up valgono la carriera di
tanti mestieranti con poco altro a disposizione all'infuori della propria
buona volontà. Altri episodi, per esempio la robotica cover della Providence
che fu dei Church, lasciano invece spiazzati per inconcludenza e approccio
glaciale. I momenti migliori di From A Late Night High Rise fotografano
le ampie vedute di un autore che non rinuncia a sorprendere e a sfidare
se stesso, quelli meno riusciti ne ricordano la copertina: una panoramica
confusa, in attesa di definizione, un esperimento cromatico passibile
di aggiustamenti, con lo svolgimento dei temi relativi alla scrittura
dei pezzi spesso in posizione ancillare rispetto alla ricerca di un suono
dai contorni ancora incerti. Voto troppo generoso, quindi? Non per il
sottoscritto: alla base delle canzoni di Matthew Ryan c'è ancora la malinconia
terminale che l'ha sempre contraddistinto, l'istintività ferita di un
animale che cerca spazio tra le inferriate della sua gabbia interiore,
un malessere rabbioso e sgomento che grida sofferenza da ogni nota: per
nessun motivo al mondo rinuncerei per l'ennesima volta a farci i conti.
(Gianfranco Callieri)
www.matthewryanonline.com
www.2minutes59.com
|