inserito
il 02/04/2007
|
Graham
Parker "Se non dovessi più fare
dischi, mi starebbe bene. Questo è quanto: il mio lavoro è finito qui".
E' con questa frase lapidaria che Graham Parker ha presentato il
suo nuovo album, già acclamatissimo dalla critica d'oltreoceano ed evidentemente
pensato e voluto a lungo dal suo autore. Il disco, diciamolo subito, è
sicuramente di ottimo livello, con GP (così ama firmarsi) nella sua versione
più rilassata, nonostante la collaborazione (anche in veste di produttore)
del chitarrista dei Figgs Mike Gent doni al disco un tocco più
rock rispetto alle sue precedenti sortite cantautorali come Struck By
Lightning. Quello che però rende Don't Tell Columbus di
gran spessore non è tanto l'aspetto musicale, che mantiene il suo solito
standard qualitativo, quanto quello che ci offre il suo songwriting: dodici
straordinari racconti dell'America di oggi, con un risultato che non può
non ricordare gli Short Cuts di Raymond Carver, ma filtrati dal suo humor
tutto britannico. Si parte con Discovering America, dove l'America
in questione è raccontata come la terra promessa del pub-rock inglese,
con i ricordi di quando lui, giovane rocker di belle speranze, vi approdò
nel 1976 tra lo scetticismo generale per farne la propria patria ("everyone
said quit now, that's when i found hope"). In Ambiguous invece
ci racconta i suoi difficili tentativi di integrazione con un popolo capace
di eleggere i politici che decidono le sorti del mondo con metodi poco
"scientifici" ( "I asked a woman the other day, how you gonna vote on
election day she said she's gonna go for the man with the nicest tie"),
mentre si vola alto con Stick To The Plan, splendido "j'accuse"
ricalcato su ritmo e melodia di Highway 61 Revisited di Dylan, dove il
nostro giunge alla tragica conclusione che in America "If you wanna be
happy be like Forrest Gump everyday". Altro highlight della raccolta è
la spassosissima England's Latest Clown, dove la tipica "debauchery"
dei giovani inglesi viene vista attraverso la vicenda di Pete Doherty
("with muscles on his muscles and Kate Moss by his side") e delle sue
degradanti bravate, create ad uso e consumo degli yankees, con quel gusto
di godimento perverso per le malefatte altrui tipica della gente piccola
e meschina (we wish that he was dead already and we wish we were him).
C'è spazio anche per le emozioni nelle tante delicate ballate, soprattutto
nei quasi nove minuti di The Over Side Of The Reservoir, per la
quale lui stesso scomoda paragoni con Astral Weeks di Van Morrison. L'America
parkeriana è popolata da tanti piccoli "Mister Jones" che davvero
non si rendono conto di quello che sta succedendo al loro paese: eppure
lui ce la racconta non con lo sguardo superiore dell'Englishman in New
York, ma con lo sguardo attonito e anche un po' divertito di chi si è
innamorato di una brutta donna: ne vede tutti i difetti, ma non può fare
a meno di continuare ad amarla. Guarda caso proprio quello che capita
a noi tutti i giorni su queste pagine. |