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Lee
Mellor
Ghost Town Heart
[Lee
Mellor 2007]
Devono aver assunto dei bravi sceriffi nelle Big Town americane, perché da
qualche tempo non ci arrivano più molte notizie di giovani e validi outlaws del
country degni di cotanta tradizione. Tocca quindi spostarsi nelle piccole cittadine
abbandonate a sé stesse lungo le highway che non portano più all'oro per trovare
personaggi come Lee Mellor. Oltretutto vai a scoprire che questo venticinquenne
che canta come se fosse il figlio di Terry Allen e suona come il giovane Steve
Earle non solo viene dal Canada, ma è nato in Inghilterra, in una cittadina resa
ulteriormente grigia dalla presenza di un grande inceneritore. Ghost Town
Heart è il suo primo disco, realizzato indipendentemente con l'aiuto del
produttore Paul Johnston, e uscito in sordina a metà dell'anno scorso quando
invece avrebbe meritato ben altra accoglienza. Non è mai però troppo tardi per
salutare un autore fresco e notevolmente già maturo, un giovane che rifugge le
storie metropolitane per raccontarci ancora una volta dei killer delle piccole
città (The Greatest Killer In A Small Town)
di ragazze perse sulle autostrade (Girl On The Highway),
dei lunghi dialoghi con gli specchi dei bar di provincia (Bar
Mirror) e di cuori persi in città fantasma, dove si rincorrono anime
allo sbaraglio come arbusti rotolanti del deserto (Tumbleweed).
Conscio di avere davanti tutto il tempo per costruirsi uno stile ancora più personale,
Mellor riesce ad impressionare anche usando schemi noti, come quando fa il verso
agli outlaw-singer classici nella country-ballad Ain't
No Whiskey (con tanto di imitazione del vocione alla Johnny Cash…)
o quando, in Jessie Hynes, si lancia in un
indiavolato hillbilly boogie. Mellor è innanzitutto uno storyteller che non si
preoccupa di avere tempi dilatati come nei sei minuti e passa di St
Lawrence River, lunga epopea sullo sfondo del fiume che attraversa
le terre del Quebec, o nella notevole Nowhere, Manitoba,
altro brano dedicato ad una regione del Canada sconosciuta ai più, dove silenziosamente
si passa la vita a lavorare per produrre le farine tipiche della zona. La band
di casa non vanta nomi noti ma non fa mancare momenti di grande spessore musicale,
come lo scatenato assolo di violino di Jonathan Moorman nel finale della
oscura Gravedigger Blues, il vibrante assolo
di sax di Robert M. David in Bar Mirror, i
bei cori di Trish Robb o il bell'impatto sonoro dell'iniziale Liberty
Street. Mellor se la cava egregiamente anche quando prova ad alzare
i toni, digrignando i denti per cantare un rauco brano rock come Big
Rusty Hammer, dove anche il chitarrista Christopher Pennington
trova il suo momento di gloria. Ma se davvero ci sentiamo di scommettere sul suo
nome è perché il ragazzo è già capace di offrire una splendida canzone come la
conclusiva Blow My Heart Out Of The Night,
una epica ballata che se fosse uscita trent'anni fa vanterebbe già decine di cover
e rivisitazioni. Se ripartirà da qui non ci deluderà di certo. (Nicola
Gervasini) www.leemellor.com
www.cdbaby.com
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