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04/06/2007
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Steven
Mark
Ci sono artisti che nascono
cloni di qualcun altro e cloni rimangono per tutta la carriera, altri
invece nascono cloni e poi riescono a sorpassare la sottile linea che
divide l'imitazione dalla piena espressione della personalità. E poi ci
sono quelli come Steven Mark, che su quella linea stanno in bilico,
sempre pronti a cadere da una parte o dall'altra ma senza mai perdere
l'equilibrio. Questo giovane cantautore newyorkese diplomato in giornalismo
lo avevamo già incontrato in occasione del suo secondo album (Aloneaphobe
del 2005), e già ai tempi dalle pagine del suo sito il ragazzo dichiarava
il proprio amore per John Lennon. Due anni dopo lo ritroviamo con Racing
Grey, probabilmente cresciuto e maturato, visto che dalla sua
penna escono brani davvero interessanti, ma il suo percorso musicale invece
che impegnarsi a trovare una propria via, a Lennon ha semplicemente aggiunto
dosi massicce e incontrollate di Tom Petty. Un Petty imitato nel modo
di cantare, nel ritmo delle canzoni (che tanto ricordano le produzioni
di Jeff Lynne), in alcune sonorità che ricordano invece i momenti più
pop di Wildflowers, negli impasti vocali dei cori e nelle melodie. Troppo
per attribuirgli quella mezza stelletta in più al valore. Peccato però,
perché, con un minimo di fantasia in più, avrei volentieri consigliato
con forza questa sorta di concept-album sulla moralità dei tempi moderni,
un lungo inventario delle "way of life" della nostra società, riletta
con un tono ben bilanciato tra l'ironico e l'indignato. Valga su tutte
una canzone come Paris Hilton Generation (un bel rock tirato, dove
finalmente, oltre alle parole, graffiano anche le chitarre), che parte
dall'analisi dell'ossessiva corsa all'espressione di sé stessi nelle nuove
finestre virtuali sul mondo (You log on to Myspace and you don't know
who you're going to be today) per finire con un divertente parallelo
tra l'evanescente Hilton del titolo e la "Hanoi Jane" Fonda degli anni
settanta, bionde icone giovanili foriere di ben diversi valori. Oppure
le analisi sull'informazione di Gods On High (Drama Drama tell
us the news today, sell us your tabloid story…), il bellissimo incipit
autobiografico di Abingdon Square, un bell'excursus sulle grosse
discrepanze tra ciò che ci dicono da fare quando siamo piccoli e quello
che incontriamo una volta cresciuti. Da citare i momenti intensi delle
tante dolcissime ballate, tra cui spicca I Never Saw You, che se
non avesse un giro di piano troppo simile a Because The Night, sarebbe
veramente una gran bella canzone. Appunto, "sarebbe", forse un po' lo
è già, certamente lo potrebbe essere e magari un giorno lo sarà. In fondo
Steven Mark è sul trampolino per diventare uno dei nostri beniamini: deve
solo tuffarsi e finalmente vedremo se nuota come i grandi o annega come
tanti altri che da qui passano senza lasciare grandi segni. |