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21/12/2007 |
Doug
Kwartler 1/2 Era
il 2001 e nella top ten annuale delle rivelazioni Rootshighway aveva segnalato
World Rattles
Round dei Foundry, un bell'album di tipico americana-sound, purtroppo
rimasto senza un seguito. Doug Kwartler, il leader di quel gruppo, non
si è però perso per strada, lo avevamo già incrociato in occasione di Halfway
House Hollow, il suo album d'esordio, e lo ritroviamo sempre più convinto
delle sue forze per questo monumentale All Sides. Kwartler è proprietario
di uno studio di registrazione e relativa etichetta a New York, dove da anni si
diletta a produrre artisti minori, ma qui si è fatto prendere da personale foga
creativa e ha licenziato addirittura un doppio album. Dire che troppa grazia rappresenta
il tallone d'Achille dell'operazione è quasi scontato, ma Doug ha scritto e pensato
in verità due album ben distinti per anima e ispirazione. Il primo disco si chiama
Just About To Die e rappresenta il lato più folk di Doug, che qui
cavalca le onde del texas-swing alla Lyle Lovett (aiutato dalla presenza di una
sezione fiati e da musicisti jazz della scena newyorkese), riecheggia le feste
tradizional-folk di recente springsteeniana memoria come Just
Walk Away, imbastisce brani di perfette radici dylaniane come la stessa
Just About to Die e tante soffici e accorate
ballate come Suzanne e Lonely
Tonight. Molto bella anche la resa di On The
Western Skyline, noto brano di Bruce Hornsby, una versione de-plastificata
dalle sonorità anni 80 dell'originale che ha strappato complimenti e ammirazione
anche al suo autore. Fin qui tutto nella norma però, Kwartler si adagia sui guanciali
caldi e sicuri dei suoni acustici, rischiando non poco di confondersi nella folla
dei mille menestrelli newyorkesi. Ma nel secondo cd, intitolato Strong,
Doug si sveglia: il suono si fa leggermente più elettrico, si apprezzano di più
le sue doti di chitarrista, le canzoni acquistano grinta e spunti originali, nonostante
il modello in questo caso sia evidentemente il Ryan Adams di Gold (scusate la
banalità). Il bel falsetto di Ghosts e il
gusto tutto sixties delle soluzioni elettriche di Bangor
sono i momenti migliori, mentre Strong rimane
forse la prova d'autore più notevole del lotto. New York è la protagonista di
tutte le canzoni, ma quella di Kwartler non è la città nera e selvaggia raccontataci
da Lou Reed e nemmeno la giungla d'asfalto del Willie Nile recente, quanto il
rassicurante centro del mondo raccontato nella dolce Park
Avenue, una visione quasi poetica e disincantata che piacerebbe sicuramente
a Woody Allen. Sarà che il disco è stato registrato nel bel mezzo della nascita
della sua bimba, immortalata a giocare con il banjo di papà nelle foto del booklet,
per cui anche la Big City si è trasformata in una grande madre, calda e avvolgente
quanto i suoni di questo disco. Magari un po' di polvere dei bassifondi avrebbe
reso il tutto più intrigante, ma questa è un'altra New York, e quelli di Lou Reed
e Willie Nile erano ben altri dischi… |