Rickie
Lee Jones
The
Sermon On Exposition Boulevard
[New
West/ IRD 2007]
1/2
Non
ci sono vie di mezzo nella musica di Rickie Lee Jones: ti prende,
ti colpisce, ti azzanna poi ti abbandona, ti scuote violentemente poi
non ti tocca più, e quando ben pensi di averne afferrato in pieno il senso
arriva sempre il punto in cui ti disorienta, ti porta fuori strada. Se
The Evening of My Best Day aveva dato l'impressione di un punto di arrivo
di una affascinante ricerca stilistica, piena di soddisfazioni quanto
di clamorosi passi falsi, il nuovo album riparte da zero buttando a mare
la teorica maturità raggiunta. Le sonorità acustiche potrebbero far pensare
ad un nuovo Traffic From Paradise, ma qui non c'è un Leo Kottke
a tessere divine trame armoniche, ma gli spigolosi Lee Cantelon,
collaboratore fin dai tempi delle Naked Songs, e Peter Atanasoff
(ex Tito & Tarantula), musicisti fuori dagli schemi e amanti dei percorsi
spinosi. Se il cd ha due anime è proprio perché per le prime registrazioni
Rickie si è affidata in toto alla loro produzione, ostica e a tratti anche
irritante, ma resa comunque emozionante da una tensione artistica che
non sentivamo dai tempi di Pirates. Fanno parte di queste session brani
secchi e vibranti come l'iniziale Nobody Knows My Name, la bella
Circle in the Sand, già edita l'anno scorso nella colonna sonora
del film Friends with Money, ma anche gli episodi più discutibili e inafferrabili
del disco come Lamp of the Body, la noisosetta Where I Like
the Best o l'inutile strumentale Road to Emmaus. La Jones racconta
che a metà della lavorazione si è resa conto che su questi binari l'album
sarebbe diventato un affascinante gadget per fans dallo stomaco forte.
Da qui la scelta di affidare la seconda parte al produttore Rob Schnapf,
storico collaboratore del compianto Elliott Smith, il cui spirito sonoro
aleggia non poco nei brani più melodici di questa raccolta. Sono nati
così piccoli miracoli come Falling Up, che la Jones dice essere
musicalmente ispirata dalla leggerezza pop dei Fleetwood Mac, la poetica
Elvis Cadillac, le tese e direi quasi tomwaitsiane Tried to be
a Man e It Hurts, fino agli incredibili 8 minuti finali di
I Was There, una sofferta cavalcata acustica alla Astral Weeks
che chiude alla grande il disco. Diciamolo chiaramente: se sfruttata fin
dall'inizio, la felice alchimia con le idee di Schnapf avrebbe reso il
cd da applausi e stellette a perdere, ma i tanti, troppi momenti irrisolti
lo rendono "solo" un capolavoro mancato. Sui testi ci sarebbe troppo da
dire: al rock i sermoni non sono mai piaciuti, ma qui siamo fortunatamente
ben distanti dai vaneggiamenti missionari del Dylan di Slow Train Coming,
soprattutto perchè questi frequenti inviti ad una spiritualità "vera"
sono molto più assimilabili alla cruda condanna della modernità che permea
le canzoni della Joni Mitchell più matura. Inviti sui quali ci sarebbe
molto da pensare e discutere…magari in un'altra occasione, magari da soli
nella nostra coscienza.
(Nicola Gervasini)
www.rickieleejones.com
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