inserito
02/11/2007
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The
Felice Brothers
Molta fascinazione e romanticismo
intorno a questa banda di vagabondi, che le cronache ci tramandano quali
più anziani di una progenie di sette fratelli, nati sulle rive del grande
Hudson River, nello stato di New York. Quanto ci giochino o facciano sul
serio è difficile stabilirlo, ma la biografia racconta davvero le gesta
di tre ragazzi cresciuti sulla strada, musicisti per vocazione che pare
non abbiano ricevuto alcuna educazione se non quella dell'andare a zonzo
in cerca di quattro spiccioli, suonando agli angoli dei marciapiedi e
nella metropolitana della Grande Mela. Lungo il tragitto, compiuto con
il loro scassato fourgone del 1987 sul quale vivono e compongono le loro
ballate, hanno raccolto Christmas, bassista e giocatore di dadi, dando
forma ai Felice Brothers. Due i dischi indipendenti, essenzialmente
acustici, registrati nel 2006, di cui oggi Tonight at the Arizona
ne rappresenta un distillato per il mercato internazionale. Aria
stracciona, un canto strascicato da hobo, un paio di chitarre acustiche,
fisarmonica e violino all'occorrenza, le ballate dei Felice Brothers hanno
acchiappato al volo la critica più incline a sciogliersi di fronte a quel
songwriting a bassa fedeltà, spesso di estrazione folk ortodossa. La musica
di Simone, Ian e James Felice non fa nulla per apparire accattivante:
è approssimativa, scarnificata, pencola lungo un crinale fatto di walzer
acustici che vagamente possono richiamare la malinconia di Neil Young
e Will Oldham, anche se qualcuno, forse per la provenienza, il background
e l'immagine stessa di copertina, ha scomodato i fantasmi della Band.
Un azzardo con ogni probabilità, anche perché non è affatto una novità
assoluta l'atteggiamento dei Felice Brothers. Si parte estasiati dal dolce
cullare di Roll on Arte, veramente
specchio di un folk rock dal sapore antico, e si prosegue con altrettanto
sentimento in Ballad of Lou The Welterweight,
storia commovente con alcune fra le liriche più ispirate. Poi si cede
purtroppo alla tentazione di mantenere tutto dentro i canoni del cosidetto
lo-fi (si veda anche il voluto disturbo della registrazione in Hey
Hey Revolver), quasi a ribadire l'autenticità delle radici
della band. Non ne hanno bisogno e sarebbe bello poterli misurare su un
terreno più complesso, che ballate quali Your
Belly in My Arms, Lady Day,
la diafana Mercy lasciano soltanto
intuire. Che i Felice Brothers sappiano cogliere l'anima più naturale,
schietta dell'American Music è fuori discussione e basterebbe il trattamento
riservato ai traditional T For Texas
e Take This Hammer (proposta in chiusura
come traccia dal vivo) per convincersene, così come si potrà restare piacevolmente
colpiti dalle inflessioni dylaniane di una sbilenca Rockfeller
Druglaw Blues. Piacciono l'attitudine da busker, la poesia
un po' arruffata dei testi, anche se i lampi di genio che pure affiorano
nel disco non sembrano garantire un risultato costante.. |